La magistratura inquirente penale (e in parte anche quella giudicante) ha acquisito un potere esorbitante e improprio nei confronti degli altri poteri dello Stato anche oltre ai due tradizionali. Si pensi alla citazione a teste di Napolitano di là dal suo scarso significato processuale, ma dall’abbondante significato obliquo. Con la semplice apertura di una inchiesta, talvolta solo l’annuncio, si condizionano elezioni e maggioranze politiche.
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Lo strumento attraverso cui si esercita il potere è l’azione penale discrezionalmente scelta ed estrapolata tra le varie notitiae criminis, quando non ricercata aprioristicamente ad arte, ma il vero grimaldello è costituito dalla totale irresponsabilità dei PM di fronte alle proprie indagini e accuse. Massimamente poi in relazione al rigetto totale delle ipotesi accusatorie.
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Ciò conduce ai meccanismi del CSM. I nostri Costituenti hanno ritenuto che il solo problema da risolvere fosse il temuto controllo dell’Esecutivo e del Legislativo (cioè della politica) sulla giurisdizione, in particolare penale. Nel tentativo di trovare un equilibrio hanno ritenuto di affidarsi al meccanismo elettivo della componente magistratuale (16 su 27 componenti) dando ad essa una maggioranza assoluta idonea ad impedire una preponderanza della componente laica, ovvero di quella scelta dal Parlamento. La selezione dei consiglieri togati per elezione, purtroppo, ha necessariamente avviato una situazione di rappresentanza di interessi differenziati, in un corpo null’affatto omogeneo. E’ in verità ineliminabile il fatto che se un corpo organizzato deve procedere a elezioni per nominare propri rappresentanti, poiché eleggere significa scegliere, ciò avvenga tra proposte politiche differenti, che quindi creano correnti diverse.
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Il meccanismo della solidarietà di parte, espressione cioè di interessi reciproci, crea le alleanze tra le correnti a difesa dello status quo generale, e quindi dei singoli magistrati, di fatto bloccando qualsiasi ipotesi di controllo e repressione di comportamenti istituzionalmente e disciplinarmente scorretti.
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Un secondo aspetto rilevante è dato dalla riorganizzazione degli uffici di procura ai sensi del d.lvo n. 106 del 2006. L’art. 6 postula che l’esercizio dell’azione penale spetti solo al procuratore. Di fatto tra il meccanismo della delega e la prassi, i sostituti godono di una autonomia all’interno dei criteri fissati dal procuratore e quindi di un rapporto di fiducia che si sostiene, in gran parte, con la contiguità correntizia. In questa ottica la nomina del procuratore (incarico direttivo) è un passaggio irrinunciabile per gestire il potere perché rafforza il circuito dei sostituti fedeli a una linea, ma è in grado di affossare quelli di altra corrente.
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I meccanismi di scelta degli incarichi direttivi divengono quindi essenziali per governare la macchina. E qui ritorniamo ai meccanismi interni al CSM, ove lo strapotere acquisito dai pubblici ministeri (che sono solo il 20% del ruolo della magistratura, ma controllano la ANM) è funzionale al sistema correntizio. In ogni caso, gli incarichi direttivi sono spartiti tra le correnti e talvolta questa spartizione risponde a interessi poco nobili.
Sembra essenziale quindi la individuazione con norma primaria dei criteri per l’assegnazione degli incarichi direttivi. Tra questi, fondamentale, e indicato come primario, la posizione nell’ordine di ruolo. Dall’origine dell’Ordinamento Giudiziario il criterio pressoché unico di scelta dei magistrati cui affidare incarichi direttivi è stato quello della anzianità. Nel tempo, con il pretesto del riconoscimento del merito, tale criterio è stato via via abbandonato, anche in relazione a diversi atti interni del CSM che hanno superato e prevaricato pure la legge. La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ritenuto per decenni che tale criterio fosse il principale perché il più oggettivo soprattutto trattandosi di scegliere all’interno di un corpo composto tutto da membri particolarmente qualificati. La prassi del CSM, le norme interne hanno di fatto abbandonato questo criterio, dando luogo a rischi elevatissimi di scelte influenzate da fattori estranei al merito.
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In terzo luogo, rilevante è anche la gestione del potere che avviene tramite i magistrati addetti alla segreteria generale e all’ufficio studi, oggi nominati su input diretto delle correnti. Quelli addetti alla Segreteria Generale, di fatto, guidano la macchina amministrativa, quelli addetti all’ufficio studi orientano la prassi giuridica del CSM, risolvendo i dubbi ed emanando pareri, e contribuiscono alla alluvionale creazione normativa regolamentare, che di fatto disciplina la carriera dei magistrati quasi al di là della legge sull’ordinamento giudiziario spesso in contrasto con essa. E’ opportuno quindi incidere anche su tali criteri di nomina riconducendoli al sistema della estrazione tra idonei, per interrompere il filo diretto correntizio.
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Come quarta problematica, non meno rilevante vi è l’esigenza di disporre di un sistema disciplinare per i magistrati idoneo a soddisfare alcuni principi irrinunciabili nella fase del giudizio per garantire:
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il rispetto del giudice naturale precostituito per legge;
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la completa autonomia, indipendenza e terzietà del giudice;
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la trasparenza del sistema giudiziario mettendolo al riparo anche solo dal sospetto di una giurisdizione domestica autoreferenziale e per ciò stesso non imparziale e non giustamente rigorosa.
Il sistema attuale ha mostrato crepe derivanti dalla composizione dell’organo giudicante attuata mercé la unione di soggetti portatori per definizione di interessi di parte, anche coinvolti dai fatti rilevanti disciplinarmente.
Il giudizio si trasforma così da giudizio sul fatto e diritto, a giudizio sulla persona e il suo ruolo all’interno della magistratura.
E’ noto che l’azione disciplinare può essere esercitata dal Ministro o dal Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione entro un anno dalla conoscenza del fatto, e comunque non oltre dieci anni dal fatto. Entro due anni dall’inizio dell’azione il PG deve formulare le conclusioni e nei successivi due anni deve essere emessa la sentenza. Il mancato rispetto di tali termini determina l’estinzione del procedimento.
Il procedimento si conclude con la sentenza disciplinare emessa dalla Sezione disciplinare del CSM. Essa può essere impugnata dinanzi alle SSUU civili della Cassazione dall’incolpato, dal Ministro o dal PG nei termini previsti dal CPP (dai 15 ai 45 giorni secondo i casi) (art. 24 legge 23 febbraio 2006, n. 109). Anche le sentenze di assoluzione sono quindi impugnabili dal ministro senza le limitazioni che soffre il PM nelle impugnazioni delle sentenze penali. Purtroppo, però, il Ministro è informato della sentenza di assoluzione solo per sua scienza o nel caso in cui la sentenza riguardi un caso da lui promosso o in cui è intervenuto con richiesta di ampliamento delle indagini. Solo in tali casi, infatti, la legge prevede che egli sia informato dell’esito favorevole all’incolpato. (Art 19, co. 3 della legge 109).
Tutto ciò premesso, occorre una riforma efficacia del sistema.
Perché questa riforma possa giungere in porto, si devono individuare pochi punti, al massimo quattro, su cui concentrare l’iniziativa. Occorre anche che siano realizzabili con normazione primaria e non costituzionale.
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Quanto alle modalità di composizione del CSM
Occorre rispettare il dettato costituzionale (art. 104, co. 4) in base al quale i 16 componenti togati sono eletti da tutti i magistrati ordinari. Non è quindi possibile un metodo di scelta dei componenti togati privo di elezione. Null’altro aggiunge la Costituzione. Ciò significa che il Legislatore ordinario può modulare la procedura per giungere alla elezione essendo vincolato solo dall’obbligo di determinare la nomina all’esito di un processo elettorale. L’ ipotesi di utilizzare un doppio sistema (filtro con sorteggio e successive elezioni) non determina problemi costituzionali. Per altro sino ad oggi i criteri per la presentazione delle candidature operano anche essi come filtro, atteso che l’elezione non avviene, come ad es. in una associazione, tra tutti i soci, ma solo tra coloro che si sono candidati nelle forme previste sul bollettino ufficiale. Ove queste forme di filtro siano previste dalla legge la garanzia è addirittura maggiore. In sostanza, quindi, la vera novità consiste nel dovere di ufficio di svolgere la funzione, se sorteggiati ed eletti, e quindi nella conseguente modifica della prima parte della procedura di scrematura: dalla candidatura si passerebbe alla estrazione.
Non appare quindi contrario all’art. 104, co. 4 Cost. un sistema a doppio turno che:
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Al primo turno preveda la scelta per estrazione a sorte di un paniere di legittimati passivi, in numero ragionevole, approssimativamente 96 (per eleggere poi 16).
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Al secondo turno la elezione si svolga all’interno del paniere già estratto a sorte.
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Il sistema va accompagnato con alcune norme di contorno:
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L’esercizio del mandato appartiene al novero dei doveri di ufficio e quindi l’estrazione a sorte non può essere rifiutata, salvo per legittimo impedimento;
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Esclusione della rielezione in assoluto (oggi è vietata solo la immediata rieleggibilità).
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Quanto all’assegnazione di incarichi direttivi e semi direttivi sembra opportuno ripristinare un sistema che esalti l’anzianità senza deprimere il merito, ma anche che non sia suscettibile di deviazioni.
La norma più o meno reciterebbe:
“All’art, 12, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, dopo il comma 12 è inserito il seguente comma 12 bis:
“12 bis Le valutazioni per il conferimento delle funzioni di cui all’art. 10, co. da 5 a 16 sono svolte prendendo in considerazione i candidati secondo l’ordine decrescente di collocazione nel ruolo. A seguito di un giudizio positivo, l’incarico è assegnato e non si procede alla valutazione di ulteriori candidati. Ove il giudizio sia negativo, si procede alla valutazione del candidato collocato nel posto di ruolo immediatamente successivo con le medesime modalità, e così sino alla prima valutazione positiva, compiuta la quale non si procede oltre nella valutazione delle candidature. Il giudizio negativo è specificatamente motivato in relazione a ciascuno dei criteri indicati nell’art. 12, commi 10, 11, 12 e 13 ed è esclusa qualsiasi valutazione comparativa con gli altri candidati.”
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Quanto all’incidenza sulle nomine dei magistrati addetti alla segreteria generale e all’ufficio studi la gestione concreta del CSM, da un punto di vista amministrativo, istruttorio etc., è affidata al Segretariato Generale, composto da numerosi magistrati addetti, nominati a seguito di interpello secondo criteri soggettivi e personali. Appare quindi opportuno rendere anche queste presenze del tutto casuali pur all’interno di un percorso di verifica della idoneità.
Si propone quindi la seguente norma:
“Alla legge 24 marzo 1958, n. 195, dopo l’art. 7 bis è aggiunto il seguente articolo 7 ter: “7 ter. La nomina dei magistrati addetti alla segreteria generale del CSM e all’Ufficio studi di cui agli articoli 7 e 7 bis, avviene per sorteggio tra i candidati che abbiano partecipato all’interpello e che siano stati giudicati idonei dagli organi competenti del CSM. La mancata estrazione non impedisce la partecipazione a successivi interpelli.”
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Quanto al procedimento disciplinare
Il primo punto da modificare consiste nel rendere obbligatoria l’informativa al ministro di tutte le sentenze disciplinari anche se in procedimenti su iniziativa del PG.
La durata predeterminata del procedimento disciplinare, a tutela dell’incolpato, deve anche tenere conto dell’interesse pubblico a chiarire il più rapidamente possibile la posizione del magistrato. Il mancato rispetto del termine biennale per formulare le richieste conclusive e del secondo termine biennale per l’emissione della sentenza, determina la estinzione del procedimento disciplinare. Essi appaiono troppo dilatati rispetto all’interesse pubblico ad una celere definizione della situazione di un magistrato. Occorre ridurli almeno ad un anno ciascuno.
Il procedimento disciplinare si atteggia come giudizio di primo grado dinanzi alla sezione disciplinare composta dal vice presidente del Csm che la presiede, da un membro laico e da 4 magistrati. Il secondo grado è rappresentato dalla impugnazione presso le SSUU civili. Anche il giudice di appello appartiene quindi al medesimo ordine dell’incolpato. Si ripropone così la problematica legata al rischio di autoreferenzialità del giudizio domestico.
Si deve raggiungere un equilibrio soddisfacente tra la garanzia di autonomia e indipendenza della magistratura e la necessità di evitare il corporativismo, garantendo un giudice di appello realmente terzo, non appartenente al medesimo ordine cui appartiene l’incolpato.
L’attuale sistema del ricorso alle SSUU va quindi modificato. Laddove l’appellante sia il Ministro sembra opportuna la competenza di secondo grado della Corte costituzionale lasciando inalterata l’impugnazione alle SSUU civili negli altri casi.
In effetti, il ministro a differenza del PG, non ha l’obbligo della azione disciplinare. Nel promuoverla egli compie una valutazione altamente discrezionale, un atto politico e non amministrativo. Ne consegue che il contrario avviso del Ministro sulla sentenza della sezione disciplinare è indice di un contrasto di opportunità politica con il CSM sulla sussistenza del presupposto di imposizione della sanzione disciplinare. In tal caso ricorre dunque una situazione assimilabile al conflitto tra Poteri, di cui all’art. 134 Cost., di competenza della Corte costituzionale.
Carlo Nordio, già Procuratore della Repubblica vicario, Venezia
Pierpaolo Rivello, già Procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione
Salvatore Sfrecola, già Presidente di sezione Corte dei Conti
Giuseppe Valditara, Professore ordinario, Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Torino
Claudio Zucchelli, già Presidente di sezione Consiglio di Stato.