In difesa delle professioni giuridiche “classiche”: ripensiamo all’accesso

1. Prologo.

L’affidabilità di un sistema giuridico è dimostrata dalla qualità dei suoi attori. La complessità dell’ordinamento è tipica dei Paesi evoluti che creano, nelle stratificazioni del tempo, un fitto reticolato di norme che garantiscono diritti e impongono doveri. Più è articolata la società cui si riferisce il sistema di regole più è difficile orientarsi correttamente in esse. La corretta applicazione dei principi diventa essenziale per la tenuta del sistema nel suo complesso. Spetta, infatti, ai giuristi consigliare, applicare e interpretare le norme e dalla loro sapiente opera nasce il cd. “diritto vivente”, che altro non è poi che l’applicazione operativa delle regole stesse. Ove il ceto dei giuristi non è adeguatamente preparato, il sistema rischia di implodere per gravi difetti funzionali. Il protocollo di garanzie previsto per i cittadini naufragherebbe così a causa dell’insapienza dei tecnici del diritto. Una classe giuridica prestigiosa, preparata ed efficiente è una certezza per un sistema che voglia davvero funzionare e perché le garanzie ordinamentali siano attivabili e operative.

Le professioni giuridiche hanno sempre avuto un grande appeal tra i giovani. Film, sceneggiati e fiction tv hanno spesso utilizzato il palcoscenico del diritto per lo

svolgimento delle loro trame, ma anche la letteratura è pervasa da personaggi attinti dal variegato mondo giuridico, quando non sono “giuristi” gli stessi autori dei volumi.

Una storia ambientata tra aule di tribunale, studi professionali, forze dell’ordine, intrighi di potere si avvale spesso del fascino che, nell’immaginario collettivo, hanno le figure che nella realtà sono le protagoniste di tali vicende. Ulteriori elementi sono poi forniti dalla cronaca che vede spesso eroiche figure di magistrati, avvocati e tutori dell’ordine contendersi la scena, nonché dalle suggestioni della società civile dove spesso i laureati in giurisprudenza occupano le più importanti cariche pubbliche e esercitano le professioni più prestigiose.

Studiare legge è quindi spesso ritenuta una scelta di sicuro successo, per lo meno sociale.
A tutt’oggi è davvero ancora così?

2. La laurea in giurisprudenza.

Per l’accesso alle professioni giuridiche tradizionali (avvocato, magistrato e notaio) è richiesta la laurea magistrale in giurisprudenza. Essa è articolata in un percorso di studio quinquennale da 300 CFU. Molti atenei offrono tale corso di laurea normalmente senza alcuna

* Tali si intendono tradizionalmente il notariato, l’avvocatura e la magistratura.

selezione all’accesso e senza programmazione numerica.
– I problemi: Secondo l’Anvur, dal 2006 al 2018 il numero degli iscritti al primo anno nelle facoltà italiane di legge è sceso da 29.000 a 18.000 (-38%). Nello stesso periodo, il numero totale degli iscritti è sceso di 53.000 unità (erano l’11,1% del totale degli iscritti nelle università italiane; ora sono il 7,2%). Ciò nonostante, si tratta comunque di una cifra rilevante di iscritti, ancor più se paragonata al numero di laureati in giurisprudenza (LM01) 17 999 riferiti al 2016 (dati Istat).

Eppure è innegabile che gran parte della classe dirigente del Paese si è formata nelle aule delle facoltà (dipartimenti) di giurisprudenza.

Il percorso di studi tuttavia presenta alcuni vizi strutturali. Innanzitutto la poca attitudine alla frequenza degli studenti alle lezioni frontali; molti corsi di studio diventano così degli “esamifici” con evidenti ricadute negative sulla qualità della preparazione degli studenti. Altro punto negativo è il tradizionale sistema di valutazione del profitto basato su esami orali in sessioni ampie (con molti candidati e troppi appelli) che non sempre consentono un’adeguata verifica della preparazione del candidato. L’obbligatorietà, ad esempio, di prove scritte intermedie potrebbe risolvere il problema. D’altra parte, ai giuristi viene richiesta un’elevata capacità argomentativa per iscritto che è impensabile non testare già durante il corso di laurea. Altro punto critico è la quasi totale irrilevanza post lauream dei voti di profitto che si ripercuote negativamente sulla curva dell’apprendimento. Per i concorsi pubblici (tranne eccezioni) non è richiesto un voto minimo di laurea né lo stesso serve per la iscrizione alla pratica professionale. Tale sistema può creare un giurista che non abbia frequentato

l’università, non abbia mai scritto un rigo (molti atenei offrono anche le cd. “tesi brevi” per la laurea), abbia studiato solo il minimo necessario per il superamento degli esami di profitto, e si presenti quindi sul mercato del lavoro con una preparazione lacunosa e non sufficientemente motivato. Altra criticità importante è la tradizionale presenza di moltissimi “fuori corso” . La mancanza di una “vita universitaria” e l’assenza di adeguati stimoli sono tra le cause che spesso rallentano gli studenti nel loro percorso di studi giuridici, con evidenti ricadute negative sui protocolli dei singoli dipartimenti coinvolti.

L’offerta formativa si sviluppa su tre direttrici:

a) predisposizione di insegnamenti obbligatori di base;

b) insegnamenticaratterizzanti;

c) insegnamentiascelta.
Lo scopo di un corso di laurea in giurisprudenza è evidentemente quello di fornire all’allievo un metodo di ragionamento e le minime conoscenze di base sulle quali costruire poi la propria carriera nel mondo del diritto. È giusto quindi che l’offerta formativa contenga tutti gli insegnamenti (SSD) nei quali viene scientificamente frazionato il sapere giuridico. Nella formazione primaria non è opportuno concentrarsi in prevalenza sulle materie “professionali” che devono essere approfondite in seguito. Occorre potenziare gli insegnamenti “di base” ad ampio respiro culturale in quanto non tutti gli iscritti al corso magistrale in giurisprudenza sceglieranno di fare carriera nelle professioni giuridiche classiche. Per rivitalizzare i corsi di giurisprudenza anzi, è opportuno stimolare la differenziazione culturale con la creazione di percorsi non indirizzati alle classiche professioni giuridiche.


– Alcune proposte:

a) È necessario reclutare matricole motivate e desiderose davvero di studiare diritto. Una programmazione numerica per l’accesso ai corsi di laurea magistrale in giurisprudenza è assolutamente necessaria. Con numeri più contenuti aumenta la qualità della didattica frontale, si rafforza il confronto docenti-studenti e, di conseguenza, migliora l’apprendimento. Il raggiungimento del traguardo finale diventa più stimolante per gli studenti che sanno di avere, alla fine, migliori opportunità nel mercato del lavoro. La selezione potrebbe avvenire tramite colloqui di orientamento, attribuendo rilevanza del voto di diploma e mantenendo nel primo anno di corso una media adeguata.

b) È opportuno prevedere l’obbligatorietà della frequenza, eliminando così la vocazione dei corsi di studio in giurisprudenza ad essere mere sedi di esame dove l’incontro tra docenti e studenti è limitato all’“appello” .

c) È necessario inserire obbligatoriamente verifiche per iscritto durante i corsi e modalità di esame che riducano l’alea tipica di un colloquio orale.

d) Sarebbe opportuno prevedere un sistema incentivante che premi il merito (studenti in corso con media superiore a 27/30) e penalizzi i fuori corso e gli studenti con media voti inferiore (ad esempio a 24/30).

e) Dovrebbe assumere un maggiore rilievo il voto di laurea (es. 102/110) e la media generale (es. 26/30) per l’accesso alle professioni giuridiche. Ciò costringerebbe gli studenti a un maggiore impegno e li allenerebbe alla futura competizione del mondo del lavoro.

f) L’offerta formativa dovrebbe prevedere un percorso dedicato alle professioni giuridiche classiche che negli ultimi 2 anni utilizzi il sistema dei “panieri vincolati” per la scelta delle materie opzionali, evitando che la selezione tra di

esse si riduca all’esame (presunto) più facile o si basi sul numero di pagine da studiare richieste dal docente.
g) Gli atenei dovrebbero implementare i carrer days, promuovendo un confronto tra studenti e mondo del lavoro in modo da consentire loro di verificare se seguire il percorso professionale classico oppure optare per le “nuove” professioni giuridiche che si stanno sviluppando soprattutto nel campo dell’intercultura e delle relazioni internazionali e tra ordinamenti, o del “giurista d’impresa”.

3. Il deficit occupazionale.

Gli ultimi dati elaborati da Eurostat e Almalaurea confermano
un trend in vigore già da qualche anno: i laureati in Giurisprudenza e materie giuridiche sono agli ultimi posti nelle classifiche occupazionali; molti laureati, anche a pieni voti, faticano a trovare un impiego dopo 5 anni dal conseguimento del titolo. Eppure la preparazione giuridica è la tra le più complete e articolate e il percorso di studi affrontato dagli studenti è uno dei più impegnativi.

Da molti anni si discute su quale possa essere la soluzione al drammatico dato occupazionale e al calo degli iscritti alle facoltà giuridiche, ma poco o niente è stato fatto. La laurea magistrale in giurisprudenza consente molti sbocchi occupazionali e va perciò fatto un distinguo tra coloro che vogliano affrontare la sfida dell’accesso alle professioni tradizionali di avvocato e notaio oppure scelgano la carriera in magistratura. Per costoro, infatti, è necessario prevedere dei correttivi che consentano di preparare giuristi raffinati degni di far parte della classe dirigente del Paese e, allo stesso tempo, dotati di adeguate competenze che consentano loro di fornire all’utenza servizi di assoluta qualità dei quali beneficerebbe l’intera

affidabilità del sistema giuridico. Occorre tempo, infatti, per preparare adeguatamente un giurista di qualità (anche sotto il profilo deontologico) e troppo spesso tale compito è stato lasciato al buon senso del singolo, a istituzioni private o professionali oppure (sigh!) alla mera causalità.

4. Le Scuole di Specializzazione PP.LL.

L’idea del legislatore che istituì tali scuole era nobile. Prendendo spunto dal percorso di formazione dei medici si pensò di affidare alle università un ulteriore e importante compito: preparare i futuri magistrati, avvocati e notai. Si era consapevoli che la preparazione di base fornita dal corso di studi magistrale in giurisprudenza non fosse sufficiente per coloro che ambissero a svolgere tali delicate professioni e che fosse necessario un percorso di approfondimento tecnico di alta qualità. I punti di forza erano la docenza mista (accademici, professionisti, magistrati) il numero programmato, la divisione del secondo anno in indirizzo “forense” e indirizzo “notarile”.

Esse però hanno dimostrato da subito alcune rilevanti criticità. Innanzitutto una non adeguata (direi irrilevanza) del profitto, programmi non sempre consoni al futuro mercato del lavoro, ma soprattutto la loro “non obbligatorietà”. Tali scuole oggi sono praticamente deserte e costituiscono aree di parcheggio post lauream.

Come rivitalizzarle? In primo luogo dovrebbero essere obbligatorie. Chi non ha il diploma della scuola SSPPLL non può accedere all’esame per avvocato, non può sostenere le prove del concorso notarile o in magistratura. I percorsi vanno modernizzati per renderli compatibili con lo svolgimento della pratica professionale e dei tirocini. Devono essere previsti inoltre rigorosi esami di profitto tali a

garantire l’adeguata qualità degli allievi. L’accesso alle scuole deve avvenire per merito acquisito attraverso cioè il voto di laurea e la media degli esami di profitto (in tale modo si otterrebbe il benefico effetto di motivare gli studenti universitari a conseguire voti alti). Il candidato, quindi, che voglia accedere alle professioni giuridiche classiche ha così un percorso disegnato e controllato che lo prepari per davvero alle sfide del mercato con enormi vantaggi per gli utenti che possono godere di un ceto di giuristi di assoluta qualità. L’accesso a tali delicate funzioni e professioni non può essere lasciato al “fai da te” o peggio alla sola aleatorietà di un esame o concorso, per quanto rigoroso.

5. La pratica professionale e i tirocini.

Si tratta di momenti decisivi per la formazione di un bravo professionista del diritto. Questo periodo va scisso in 2 momenti:

– fase pre-esame: sono forse sufficienti 6 mesi di pratica, durante la frequenza della SSPPLL. Il periodo di pratica deve essere svolto nell’ufficio del professionista o del giudice affidatario e da questi certificato in base a criteri di effettività, capacità dimostrata dall’allievo, attitudine a tale professione.

– fase post-esame superato: prima di assumere le funzioni e di essere iscritti nel relativo albo professionale, i neo-vincitori devono effettuare un periodo di tirocinio obbligatorio di 1 anno (in parte il notariato già prevede qualcosa di simile e la magistratura il periodo di “uditorato”). Al termine di tale stage, il neo-avvocato, ad esempio, sceglierà il proprio percorso professionale attraverso l’iscrizione ad un “camera” relativa al settore che predilige (penale, civile, amministrativo, tributario). Scindere il periodo di pratica, infatti, rende più facile concentrare l’attenzione

dei maestri sulle diverse necessità degli allievi che, nella prima fase abbisognano di maggiori contenuti scientifici, nella seconda invece di particolare attenzione agli aspetti tecnici e deontologici.

6. La fase dell’accesso: i concorsi notarile e in magistratura e l’esame per avvocato.

A tale momento oggi i candidati arrivano con percorsi variegati e curricula diversi, sicché molto del loro destino è lasciato agli esiti delle prove, molto affollate (sebbene rigorose) e quindi molto aleatorie. In ciò si ravvisa una delle grandi cause della crisi vocazionale che caratterizza i corsi di laurea magistrale in giurisprudenza, cioè l’assoluta incertezza del proprio futuro. Il nostro sistema è disegnato su prove scritte anonime corrette da commissioni collegiali a composizione mista. Solo dopo il superamento delle prove scritte si accede ad una prova orale multidisciplinare. Per il concorso notarile e quello in magistratura è peraltro previsto un limite alle partecipazioni (5 per i notai e 3 per i magistrati). A tali esami si presenta solitamente un gran numero di candidati e ciò si ripercuote inevitabilmente sulle modalità di svolgimento delle prove scritte e sui tempi di correzione. Occorre pertanto “umanizzare” tali esami e fornire agli aspiranti un percorso di accesso che renda giustizia alle loro legittime aspirazioni. Una selezione basata sul merito universitario si lascia preferire. L’aspirante (notaio, avvocato, magistrato) deve sin dalla sua iscrizione al corso di laurea magistrale in giurisprudenza concentrarsi sull’obiettivo, seguendo il percorso dedicato (come supra proposto). Egli deve conseguire buoni voti e di qui accedere alla SSPPLL. Arriveranno così alla prova finale (esame di stato o concorso) candidati preparati e già pre-

selezionati con il positivo effetto di ridurre l’aleatorietà del mega esame-concorso. Per l’avvocatura, poi, potrebbe anche pensarsi a un percorso abilitante che preveda cioè, un solo (severo) colloquio orale dopo che l’aspirante abbia conseguito il diploma delle SSPPLL così come riorganizzate secondo quanto espresso nel precedente paragrafo 4.

7. La proletarizzazione delle professioni giuridiche: un rischio per il sistema Paese.

In Italia sono iscritti all’ordine degli avvocati 245.430 professionisti, secondo quanto rilevato dalla Cassa Forense, che peraltro osserva come negli ultimi anni si sia avuta una contrazione delle iscrizioni agli ordini degli avvocati. I dati indicano, difatti, che il tasso medio annuo di crescita dell’ultimo triennio 2017-2019 mostra livelli estremamente contenuti e comunque inferiori all’1%, mentre nei primi anni 2000 i tassi di crescita medi superavano il 6% con punte massime dell’8 – 9%. L’avvocatura cresce pertanto in maniera molto contenuta, per non dire che si trova in situazione di stazionarietà, forse a causa di una professione che attira sempre meno le giovani generazioni.

I vincoli al turn over nella PA inoltre hanno, di fatto, limitato gli accessi nei ruoli dell’università e degli enti di ricerca nonché di tutti gli organismi della amministrazione; con la sola eccezione della magistratura e delle forze dell’ordine che, comunque, da sole non riescono ad assorbire il grande numero di aspiranti laureati in giurisprudenza.

La tabella che indica il numero dei notai sul territorio è stata ampliata a 6.222 posti, numero che può apparire esiguo ma che è stato implementato di 467 unità a fronte di una costante riduzione dei ricavi che penalizzano sempre più le sedi disagiate ove è necessario fornire comunque il

servizio notarile. L’ampliamento della facoltà di rogito al territorio regionale ha poi causato un sempre maggiore spostamento dei notai verso le grandi urbanizzazioni. Il mondo delle professioni giuridiche è stato il principale obiettivo delle istanze liberalizzatrici degli ultimi decenni. Il demone del mercato ha stravolto molte delle certezze sulle quali si basava il lavoro di un professionista del diritto. L’abolizione delle tariffe minime obbligatorie ha prodotto una drastica riduzione dei ricavi e ha costretto i professionisti a concorrere al ribasso economico con una progressiva diminuzione della qualità delle prestazioni. Accedere a tali ruoli non è quindi diventato più appetibile per i giovani migliori che oltre all’incertezza del percorso formativo devono anche tollerare una competizione al ribasso tariffario che finisce per penalizzare i piccoli studi e chi è all’inizio del percorso professionale. Senza giuristi colti, liberi, indipendenti non vi è vera giustizia ma vince chi ha il potere economico e può imporre le proprie condizioni senza temere contrasti. Le professioni giuridiche classiche rischiano anche di perdere il ruolo di “ascensori sociali” che hanno sempre avuto.

8. Contro la banalizzazione delle professioni giuridiche.

Il peggiore degli effetti causati dalla aggressione alle professioni giuridiche dell’ultimo ventennio è stato il diffondere la fake news che avvocati e notai siano sostanzialmente alfieri del cronico eccesso di burocrazia che affligge il nostro Paese. Dette professioni, al contrario, ne sono l’esatto opposto. Esse fungono da mediatori qualificati tra le istanze degli utenti e le esigenze dell’ordinamento. Con il loro ius respondendi i professionisti facilitano l’accesso agli istituti giuridici

degli eterocolti (cioè dei non giuristi) rendendo di contenuto concreto le cd. “parti mute” dell’ordinamento. Un sistema moderno non può funzionare senza tali operatori. La loro qualità e professionalità deve essere presunta dai cittadini in modo da superare le asimmetrie informative che non consentono all’utenza di scegliere il professionista idoneo sulla base delle sole regole di mercato. Gli avvocati, costituiscono un indefettibile presidio di garanzia per la tutela delle posizioni giuridiche degli utenti. I notai, con il loro ruolo di pubblici ufficiali, garantiscono il funzionamento e la affidabilità dei pubblici registri e la tenuta complessiva del sistema di fronte alla legge nello svolgimento del loro ruolo di gate keepers. Essi sono il baluardo di un bene diffuso quale è la “fede pubblica”.

Perché il sistema di tutele funzioni però è necessario che il ceto dei giuristi sia altamente qualificato, meritocraticamente selezionato, e adeguatamente retribuito. Ogni intelligenza persa è un danno per l’intero sistema.

Occorre quindi rivedere l’idea che chiunque possa (nel mondo del diritto) fare tutto con poco e che le professioni giuridiche siano un inutile appesantimento dei costi di impresa. Al contrario, il loro migliore funzionamento ha un effetto deflattivo sugli appesantimenti del sistema giudiziario e la loro opera qualificata migliora l’attrattiva del nostro Paese agli investimenti e, quindi, genera ricchezza. Sfidiamo con coraggio chi ancora si ostina a ritenere che la preparazione giuridica sia qualcosa che si possa facilmente ottenere sul web.

ANTONIO FUCCILLO
Professore Ordinario Dipartimento di giurisprudenza, Università della Campania “Luigi Vanvitelli” Notaio, Vice-presidente vicario Associazione Italiana Notai e Accademia

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