FRANCESCO CAVALLA
Professore emerito di Filosofia del diritto – Università di Padova
Uno dei più accreditati equivoci corrente nella pseudo cultura contemporanea è quello relativo al così detto “pensiero laico”: quando l’aggettivo venga preso come sinonimo (o antecedente) di una serie di termini come “spregiudicato, critico, privo di dogmi, libero”. Allorché ci si mette da questo punto di vista, la prima cosa cui non si riflette è proprio il concetto di … pensiero e il modo con cui funziona.
Capisco benissimo che sto imbarcandomi in una impresa quasi disperata: che cosa è, e come funziona, il pensiero? È una domanda che ha fatto scorrere fiumi di inchiostro e ha aperto abissi di profondità. Eppure spero di riuscire a dire qualcosa su cui possiamo convenire tutti in base alla nostra esperienza, in base a quello che in genere intendiamo per “pensiero” quando a tale attività ci affidiamo per giungere a conclusioni sperabilmente certe.
Ebbene, il pensiero assume – e su ciò sono assolutamente concordi tutte le fonti classiche – fondamentalmente due direzioni.
La prima è una direzione “discendente”. Ciò accade quando si prende una premessa e poi, per via di implicazioni logiche si giunge ad una conclusione coerente con essa. È una procedura (e non è la sola) in uso, ad esempio, nelle scienze matematiche, ma anche nel linguaggio comune quando costruiamo un sillogismo. Tutti possono pensare all’esempio scolastico: dalla premessa “tutti gli uomini sono mortali” si trae la conseguenza ineccepibile per cui anche Socrate è mortale.
Per questa via il pensiero giunge a risultati certi, indubitabili: ma non è mai un pensiero spregiudicato. Anzi, la certezza dei risultati dipende da un ben preciso pregiudizio: dall’assunzione cioè di una premessa che viene tenuta ferma e non discussa. Perciò, sia che ci si muova – per trarne conseguenze – da una dichiarazione del Papa, sia che ci si nuova dalle posizioni di qualche esponente della bioetica pro choice, il pensiero non è mai, dicesi mai ,laico; è sempre pre-giudicato.
Il pensiero poi può assumere una direzione orizzontale. Ciò accade quando non si prende nessuna premessa come propria ma si esamina qualcosa che “ci viene incontro”, cioè un discorso fatto da altri. Il pensiero è orizzontale quando si vuole – in altri termini – criticare una data posizione: e per raggiungere un risultato ineccepibile, qui, vale lo strumento principe del principio di non contraddizione. Una posizione contraddittoria è invero una posizione nulla dicente. Il pensiero critico quando incontra una tesi contraddittoria la squalifica; se invece la tesi in esame non è contraddittoria, le si riconoscerà quanto meno la qualifica di “plausibile”, degna quindi di essere confrontata con tante e opposte altre tesi. Certo, il modo con cui si applica il principio di non contraddizione dà origine a questioni complesse in relazione alla varia natura di ciò che si critica. Non ci addentriamo: ci basta notare che quando assume la “direzione” orizzontale, quando è critico, il pensiero è sempre spregiudicato. Perciò, sia che si critichi un’affermazione del Papa, sia che si critichi una posizione pro choice, fin che si usa correttamente l’arma della contraddizione, il pensiero è sempre, dicesi sempre, laico.
Si considerino queste parole: “Qualunque tipo di autorità che non venga confermata da vera ragione dovrebbe essere considerata debole…non è infatti vera autorità se non quella che coincide con la vera scoperta in nome della ragione, anche se si dovesse trattare di un’autorità raccomandata e trasmessa per l’utilità dei posteri dai Santi Padri”. Chi le ha pronunciate, Benedetto XVI, rivestiva in allora (10.6.2009: omelia in S. Giovanni in Laterano) il ruolo di capo della Chiesa Cattolica: ciò non di meno sono parole che indicano, come meglio non si potrebbe, in cosa consista, e quale valore abbia la laicità per il pensiero, anche per il pensiero che si sviluppi all’interno di una tradizione dichiaratamente religiosa.
Sappiamo peraltro che è in uso nei discorsi comuni qualificare come laico un pensiero in base alle sue fonti. In ispecie si suole definire laico un pensiero che prescinda da, o addirittura respinga, tesi, autorità o proposte che si legittimino per la loro conformità ai principi di una data confessione religiosa. Intesa in questo senso, la qualifica di laico non garantisce affatto l’effettiva laicità dei discorsi cui si applica. Anzi, una posizione che si dica laica per le ragioni appena dette si mostra il più delle volte pre-giudicata, quindi per nulla critica, perché esclude a priori una serie di tesi (o di confutazioni) non per ciò che dicono ma semplicemente per la loro provenienza. Quando è così, non si può parlare di pensiero laico ma della sua deformazione dogmatica che è il laicismo.
Recentemente, in occasione della nota verbale avanzata dalla Santa Sede (non dallo stato Vaticano, come rozzamente molti insistono a dire) allo Stato Italiano a proposito della c.d. “legge Zan” (nella realtà, disegno di legge), il nostro premier ha affermato che lo Stato Italiano è uno stato laico. Tutti contenti. Ma cosa vuol dire questa affermazione? Cosa può voler dire per essere sensata? Se intende dire che le decisioni degli organi costituzionali non possono assumere come premesse indiscutibili dichiarazioni, tesi, certezze, prospettate nell’ambito di una certa religione, o da una qualunque altra autorità non riconosciuta come tale dall’ordinamento statale, allora l’affermazione in questione è razionale: e il Presidente Draghi ha detto cosa ineccepibile e doverosa.
Se però si pensa che la non dipendenza da posizioni religiose sia garanzia di laicità, e quindi di criticità, delle premesse che portano ad una certa normazione, si crede allora cosa assai discutibile. Invero ogni preoccupazione concernente possibili indebite restrizioni della libertà critica dei cittadini (non importa se appartenenti o meno ad una confessione religiosa) va accolta e discussa con molta attenzione: a prescindere dalla fonte da cui provengano le preoccupazioni stesse. Si ricordi che nella nota della Santa Sede, al fine di non interferire nella libertà di opinione dei cittadini, si chiedevano interventi migliorativi nella formulazione di nuove fattispecie di reato previste nella “legge Zan”: e si ricorderà allora che i firmatari della legge hanno continuato a respingere ogni ipotesi di modifica con messianica rigidità; così mostrando di voler imporre una visione ideologica della realtà e dell’etica quale si conformerebbe non già ad uno stato laico, ma ad uno stato deplorevolmente laicista.
Non voglio entrare nel merito della “legge Zan” che pone evidentemente una serie di gravi questioni le quali meritano una discussione specifica e approfondita. Voglio soltanto sottolineare che respingere aprioristicamente una richiesta di riflessione sulla libertà perché proveniente da una fonte confessionalmente qualificata non è affatto espressione di laicità del pensiero: così come lo spregiare in genere una ricca tradizione culturale, religiosa, politica che ha innervato la storia dell’Occidente non ha niente a che fare con la laicità essendo piuttosto espressione di un intollerabile dogmatismo. Lo spacciare per critico ciò che è soltanto prepotentemente dogmatico è opera tipica di quel grande illusionista mediatico che è il pensiero politicamente corretto. Mostrarne le bufale è compito di ogni uomo spiritualmente desto. Difficile. Perché il mondo, non solo quello di oggi, è pieno di dormienti. Lo diceva già Eraclito. Qualche tempo fa.