Raffaele Santoro
È professore associato di Diritto ecclesiastico e Diritto canonico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”. È altresì professore invitato di Attività concordataria della Santa Sede presso la Pontificia Università Urbaniana (Stato Città del Vaticano).
I gravi episodi di violenza avvenuti all’interno della Casa Circondariale “Francesco Uccella” di Santa Maria Capua Vetere hanno sollecitato nel mondo politico e scientifico un’ampia riflessione inerente la necessità di una profonda riforma del sistema di esecuzione delle pene.
Questa giusta e doverosa sollecitazione deve coinvolgere necessariamente anche il complesso rapporto tra religione e detenzione, posto ai margini c.d. “Riforma Orlando”[1], di fatto ancora oggi incompiuta in questo delicato ambito profondamente coinvolto nelle dinamiche di attuazione dell’art. 27 della Costituzione.
A tale riguardo, con la l. 23 giugno 2017, n. 103 – Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario, era stato delegato il Governo ad adottare decreti legislativi per la riforma dell’ordinamento penitenziario (art. 1, com. 82), i quali avrebbero dovuto coinvolgere anche una serie di ambiti inerenti la libertà religiosa (art. 19 Cost.)[2].
Nello specifico, era stato sancito che, fermo restando quanto previsto dall’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario, nell’esercizio della predetta delega, i decreti legislativi da emanare in materia dovevano essere adottati, per l’ambito di stretto interesse della presente ricerca, nel rispetto dei seguenti principi:
a) riconoscimento del diritto all’affettività delle persone detenute e internate e disciplina delle condizioni generali per il suo esercizio (art. 1, com. 85, lett. n);
b) previsione di norme che favoriscano l’integrazione delle persone detenute straniere (art. 1, com. 85, lett. o);
c) revisione delle attuali previsioni in materia di libertà di culto e dei diritti ad essa connessi (art. 1, com. 85, lett. v).
In applicazione di quest’ultima norma, la Commissione per la riforma dell’ordinamento penitenziario nel suo complesso[3] aveva elaborato una profonda riforma dell’art. 26 dell’ordinamento penitenziario, inerente la religione e le pratiche di culto[4], proponendo il seguente testo:
«I detenuti e gli internati hanno libertà di professare la propria fede religiosa o credo e di praticarne il culto. L’Amministrazione predispone le azioni e gli strumenti adeguati per rendere effettivo l’esercizio della libertà religiosa.
Negli istituti è assicurata la celebrazione del culto cattolico. Negli istituti sono presenti locali idonei per la celebrazione dei riti e lo svolgimento delle pratiche di culto.
A ciascun istituto è addetto almeno un cappellano ed è garantita la presenza dei ministri di culto, dei rappresentanti accreditati o delle guide di culto delle altre confessioni che abbiano stipulato intese o accordi con le amministrazioni dello Stato.
Per l’effettiva attuazione dell’esercizio della libertà religiosa, i soggetti di cui al comma precedente, nell’autonomia e nel rispetto delle proprie prerogative e funzioni, si coordinano al fine di agevolare il dialogo e il rispetto inter-religioso»[5].
I lavori della Commissione hanno coinvolto anche l’art. 58 del d.P.R. n. 230 del 2000, proponendo:
a) l’integrazione del com. 2 con la possibilità per i detenuti di «possedere oggetti funzionali all’esercizio del culto, purché compatibili con la sicurezza dell’istituto»;
b) l’introduzione nel com. 4 anche del riferimento inerente «l’esercizio delle pratiche di culto» e le «guide di culto»;
c) l’introduzione del com. 7 con il seguente testo: «In presenza di intese e protocolli stipulati fra i rappresentanti delle confessioni religiose e l’Amministrazione italiana, i nominativi dei ministri di culto e guide di culto designati dai rappresentanti della confessione religiosa, si intendono approvati dal Ministero dell’interno trascorsi sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione»[6].
La riforma dell’ordinamento penitenziario emerge pertanto dal combinato disposto di quanto sancito nel d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 123 – Riforma dell’ordinamento penitenziario, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 85, lettere a), d), i), l), m), o), r), t) e u), della legge 23 giugno 2017, n. 103, nonché nel d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 124 – Riforma dell’ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 85, lettere g), h) e r), della legge 23 giugno 2017, n. 103.
A tale riguardo, è necessario evidenziare che la riforma non ha elevato i livelli di tutela della libertà religiosa e degli altri diritti fondamentali della persona rispetto a quanto già previsto dalle vigenti norme, le quali alimentano la presenza di rilevanti discrasie circa le condizioni per il relativo effettivo esercizio[7]. Del resto, come è stato opportunamente rilevato, all’attuale regime giuridico della vita intramuraria «sembra stare più a cuore il diritto di libertà religiosa collettivo delle confessioni religiose, che quello individuale dei singoli detenuti»[8].
La previsione all’interno delle norme dell’ordinamento penitenziario del diritto dei detenuti di ottenere – su richiesta – la somministrazione di alimenti rispettosi del proprio credo religioso (art. 9, com. 1), nonché del dovere di dotare gli edifici penitenziari anche di locali destinati alle esigenze religiose (art. 5), restano ancora sottoposti alla limitante clausola “ove possibile”.
Il Governo non ha esercitato la delega nella parte riguardante l’art. 26 dell’ordinamento penitenziario in materia di libertà, dando origine da una riforma incompiuta[9] che di fatto, come già innanzi rilevato, non ha superato i limiti della vigente normativa in materia.
La riforma dell’ordinamento penitenziario costituisce un’occasione persa per poter realizzare degli importanti passi in avanti verso una effettiva umanizzazione del sistema penitenziario italiano, attraverso la predisposizione di più elevati livelli di promozione e tutela del diritto di libertà religiosa. Questo è un elemento essenziale di un sistema di esecuzione delle pene che deve tendere anche alla rieducativa del condannato (art. 27, com. 3, Cost.)[10], oltre ad essere rispettoso della dignità umana, della quale la libertà religiosa è parte strutturale.
Per questo motivo si auspica una revisione delle norme che disciplinano l’esercizio della libertà religiosa oltre le mura carcerarie, in prospettiva della declinazione interculturale della società contemporanea e del contributo positivo che le religioni possono fornire nelle dinamiche di umanizzazione di un sistema penitenziario.
Richiami proposti:
I gravi episodi di violenza avvenuti all’interno della Casa Circondariale “Francesco Uccella” di Santa Maria Capua Vetere hanno sollecitato nel mondo politico e scientifico un’ampia riflessione inerente la necessità di una profonda riforma del sistema di esecuzione delle pene e deve coinvolgere necessariamente anche il complesso rapporto tra religione e detenzione, posto ai margini c.d. “Riforma Orlando”
all’attuale regime giuridico della vita intramuraria «sembra stare più a cuore il diritto di libertà religiosa collettivo delle confessioni religiose, che quello individuale dei singoli detenuti»
un sistema di esecuzione delle pene deve tendere anche alla rieducativa del condannato (art. 27, comma 3, Cost.), oltre ad essere rispettoso della dignità umana, della quale la libertà religiosa è parte strutturale
[1] Cfr. R. Santoro, Religione e detenzione. La libertà religiosa oltre le mura carcerarie, Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, p. 61 ss.
[2] Cfr. A. Fuccillo, Diritto, religioni, culture. Il fattore religioso nell’esperienza giuridica, Giappichelli, Torino, 2019, p. 32 ss.
[3] La Commissione è stata costituita dal Ministro della Giustizia con decr. 19 luglio 2017 – Costituzione Commissione di studio per la riforma dell’ordinamento penitenziario nel suo complesso, il cui testo integrale è edito nel sito del Ministero della Giustizia (www.giustizia.it).
[4] Cfr. A. Fuccillo, Diritto, religioni, culture. Il fattore religioso nell’esperienza giuridica, cit., p. 317.
[5] Commissione per la riforma dell’ordinamento penitenziario nel suo complesso, Relazione e articolato, p. 108. I punti in corsivo indicano le innovazioni proposte dalla Commissione al vigente testo dell’art. 26 dell’ordinamento penitenziario.
[6] Commissione per la riforma dell’ordinamento penitenziario nel suo complesso, Relazione e articolato, p. 231.
[7] Cfr. E. Olivito, “Se la montagna non viene a Maometto”. La libertà religiosa in carcere alla prova del pluralismo e della laicità, in Costituzionalismo, Rivista telematica (www.costituzionalismo.it), 2, 2015, p. 1 ss.
[8] R. Mazzola, Religioni dietro le sbarre. Alcune questioni di diritto di libertà religiosa nel sistema carcerario italiano, in Diritto e Religioni, 2, 2017, p. 437.
[9] Cfr. G. Giostra, La riforma penitenziaria: il lungo e tormentato cammino verso la Costituzione, in Diritto Penale Contemporaneo, Rivista telematica (www.penalecontemporaneo.it), 9 aprile 2018, p. 1.
[10] Cfr. M. Ruotolo, Dignità e carcere, Editoriale Scientifica, Napoli, 2014, p. 35 ss.