Marco Ricotti
Professore Ordinario di Impianti Nucleari Politecnico di Milano
La crisi dell’energia, delle materie prime e dei componenti speciali – come i microchip – iniziata a fine 2021, quindi prima dell’invasione russa dell’Ucraina, nonché la stessa guerra iniziata un anno fa, hanno cambiato completamente il panorama energetico in Europa. Gli europei hanno imparato in modo drammatico che la parola “energia” non significa solo “ambiente”.
Potremmo definirlo il nuovo “trilemma energetico”. Abbiamo appreso che qualsiasi soluzione al problema energetico deve rispondere a tre esigenze concorrenti: 1) combattere il cambiamento climatico, 2) ridurre la dipendenza strategica dell’UE, 3) sostenere l’economia e l’industria dell’UE.
L’Europa ha bisogno di soluzioni energetiche “sostenibili, sicure, convenienti”.
Per combattere il cambiamento climatico abbiamo a disposizione solo due fonti intrinsecamente “carbon-free”: le rinnovabili e il nucleare. Tertium non datur. Poiché la lotta per il clima sarà dura, sarebbe irrazionale eliminare una delle due risorse.
Per ridurre la dipendenza strategica europea è necessario un portafoglio energetico diversificato: è un classico problema finanziario e di project management, di allocazione e distribuzione del rischio. Il risultato banale è che avremo bisogno di un adeguato mix di tutte le fonti energetiche.
Per sostenere l’economia europea, le industrie e i cittadini, soprattutto le fasce più deboli della popolazione, dobbiamo essere attenti nell’individuare le giuste politiche energetiche, tenendo in debita considerazione un’approfondita analisi costi-benefici.
Tutto ciò significa semplicemente che l’Europa dovrebbe riconsiderare rapidamente la propria strategia energetica, finora basata esclusivamente sul primo problema del trilemma, quello ambientale, e soprattutto su un approccio piuttosto miope che guarda solo alle rinnovabili.
L’inclusione dell’energia nucleare nella tassonomia verde dell’UE è stato un processo complesso e controverso. Le 383 pagine del rapporto scientifico pubblicato a marzo 2021 dal Centro Comune di Ricerca (JRC) sulla “Valutazione tecnica dell’energia nucleare rispetto ai criteri di ‘non danno significativo’ del Regolamento (UE) 2020/852 (Taxonomy Regulation)”, non sembravano sufficienti a sostenere una facile verità, dimostrata nel documento: che “non esiste alcuna prova scientifica che l’energia nucleare sia più dannosa per la salute umana o per l’ambiente rispetto ad altre tecnologie di produzione di elettricità già incluse nella tassonomia dell’UE come attività a sostegno della mitigazione del cambiamento climatico”. L’inclusione del gas, grande emettitore di anidride carbonica, era la contropartita richiesta dalla Germania per accettare il nucleare nella tassonomia.
Affrontando il trilemma, potremmo facilmente identificare pregi e difetti di ciascuna fonte di energia, concludendo che non esista una soluzione miracolosa. Guardando all’energia nucleare, qual è il possibile contributo alla soluzione dei tre problemi?
Circa l’impatto ambientale: i dati riportati anche nei documenti IPCC, mostrano chiaramente come il nucleare e l’eolico siano le fonti energetiche con il minor impatto, in termini di gas CO2-equivalente emesso per kWh di elettricità prodotta (non più di 20 g, meno rispetto all’idroelettrico e al fotovoltaico), considerando l’intero ciclo di vita.
Sulla dipendenza strategica dell’UE: quasi tutto il settore nucleare è europeo – dallo sviluppo della tecnologia dei reattori alle fasi di progettazione-costruzione-operazione-smantellamento, comprese quelle relative all’arricchimento e alla produzione del combustibile. Solo il minerale di uranio viene normalmente ottenuto da fuori Europa; tuttavia, l’approvvigionamento può provenire facilmente da paesi non critici (come Canada e Australia).
Sull’impatto dei costi e degli investimenti dell’energia sull’economia europea: come regola generale, per ogni euro investito nel settore nucleare, almeno ottanta centesimi rimarranno in Europa; l’industria nucleare continentale è costituita da una grande filiera, con più di un milione di lavoratori coinvolti. Inoltre, l’elettricità prodotta dai reattori nucleari è programmabile e ampiamente prevedibile nei costi di produzione.
Come azione coerente per affrontare il nuovo panorama, la Commissione Europea dovrebbe predisporre una nuova strategia energetica, considerando debitamente tutti e tre gli elementi del trilemma e attuando una politica tecnologicamente neutrale. È necessaria non solo una nuova strategia energetica europea, ma anche un partenariato europeo per l’energia nucleare.
Storicamente parlando, il settore nucleare è sempre stato concepito e gestito prevalentemente come un asset strategico domestico, nazionale. I tempi attuali suggeriscono che l’approccio dovrebbe essere aggiornato, dal momento che l’energia è strategica tanto quanto la difesa. Qualcuno, anche molto prima della guerra in Ucraina, proponeva una forza di difesa europea condivisa, comune. Lo stesso dovrebbe valere per l’energia in generale e per il nucleare in particolare.
Dovrebbe essere concepito e sostenuto un partenariato europeo per l’energia nucleare, basato principalmente sulle tecnologie dei reattori nucleari europei. La collaborazione internazionale su un tema così sensibile va perseguita, ovviamente, ma partendo da un patrimonio europeo sano e solido, pensando in primis ai benefici per l’Europa, avendo sempre ben presente il trilemma.
La partnership potrebbe partire dagli stessi Paesi che hanno firmato la lettera, inviata alla Commissione Europea, a sostegno dell’inclusione del nucleare nella tassonomia verde. Non un club chiuso, ma aperto, con altri membri dell’UE che potranno unirsi allo sforzo durante lo sviluppo dell’iniziativa.
Il partenariato è necessario anche perché, molto probabilmente, il settore nucleare francese da solo non sarà sufficiente, se davvero nei prossimi decenni verrà attuato un piano di sviluppo nucleare pan-europeo ampio, a lungo termine e ambizioso, composto da diverse fasi: l’estensione della vita dell’attuale flotta, nuove grandi centrali nucleari, lo sviluppo di piccoli reattori modulari e possibilmente anche di reattori di quarta generazione.
Perché questa speranza diventi realtà, ciò che serve è una filiera nucleare solida, stabile, efficiente ed efficace, insieme ad una forza lavoro competente, unita all’innovazione a tutti i livelli, autorità di regolazione nucleare comprese. Tali requisiti sono necessari anche per risolvere i problemi di performance durante la costruzione – extra-costi e ritardi – che hanno subito le recenti realizzazioni di reattori nucleari europei, analogamente a quelli americani. Diverse competenze e capacità di alto livello e qualità sono già presenti nel nostro continente: necessitano solo un fil-rouge in grado di unirle debitamente.
Infine, tale partenariato rappresenterebbe una forte e adeguata sollecitazione ai decisori politici a considerare l’energia nucleare come un asset strategico, non trascurabile, per l’Europa. Inoltre, un punto di riferimento per le giovani generazioni, molto attente agli aspetti ambientali e oggi meno ideologizzate e più aperte rispetto al passato a considerare seriamente l’opzione nucleare. Un’opportunità da cogliere senza indugio.