Pierpaolo Rivello
Procuratore Generale Emerito presso la Corte di Cassazione
Il 22 novembre il Senato ha approvato in via definitiva, all’unanimità, con 157 voti , provenienti da tutti i senatori e le senatrici presenti, il Disegno di legge n. 923, presentato dal Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Roccella, dal Ministro dell’interno Piantedosi e dal Ministro della giustizia Nordio, avente ad oggetto “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica“.
Il disegno di legge era stato precedentemente approvato dalla Camera dei deputati il 26 ottobre 2023.
La spinta emotiva, da parte dell’opinione pubblica, provocata dal femminicidio di Giulia Cecchettin, la ragazza di 22 anni sequestrata e uccisa dall’ex fidanzato che non accettava la fine della loro relazione,ha indubbiamente favorito la rapida approvazione di tale disegno di legge da parte del Senato, che l’ha simbolicamente votato nell’imminenza della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, con un voto che, ripetesi, ha visto uniti i partiti dell’attuale Governo con quelli dell’opposizione.
Il provvedimento consta di 19 articoli, che mirano a rafforzare il tessuto normativo delineato dalla precedente legge n. 69 del 2019 sul c.d. “Codice Rosso”, e si pone sulla scia del Decreto Legge 122/2023, entrato in vigore il 30 settembre 2023, composto invece di un solo articolo, finalizzato a sua volta a contrastare la violenza di genere e a garantire supporto alle vittime, e parimenti rivolto a modificare la legge sul “codice Rosso”.
Sarebbe del tutto ingeneroso e scorretto affermare che con l’attuale provvedimento si sia inteso offrire una risposta “muscolare”, in chiave di rafforzamento delle soglie punitive volte a contrastare questi fatti così drammatici ed odiosi; in realtà siamo in presenza di un intervento articolato e poliedrico, concernente molteplici aspetti e diretto a rendere più efficiente e variegata la “risposta” che le Prefetture, le Forze dell’Ordine e l’Autorità giudiziaria possono e debbono offrire a seguito della segnalazione di vicende afferenti all’ambito della violenza sulle donne o della violenza domestica.
A titolo indicativo, detto intervento normativo amplia l’ambito di operatività dell’ammonimento da parte del Prefetto; impone al p.m. di valutare, entro trenta giorni dalla segnalazione dei fatti, l’eventuale adozione di misure cautelari; implementa l’utilizzo del c.d. braccialetto elettronico; prevede l’arresto “in flagranza differita”, entro 48 ore dalla commissione dei fatti; incide anchesulla formazione, stabilendo tra l’altro che la Scuola superiore della magistratura predisponga specifici corsi afferenti a questi ambiti.
Cerchiamo peraltro di sviluppare un’analisi più ampia, in chiave diacronica.
Da alcuni anni il nostro Paese, in particolare a seguito dell’emanazione della l. n. 60 del 2019 sul “Codice rosso”, si è dotato di un impianto normativo volto a contrastare i più gravi episodi riconducibili all’ambito della “violenza di genere”.
Una prima grave criticità era peraltro data dal fatto che, sebbene da tempo, anche a livello sovranazionale, sia stato evidenziato come la risposta statuale a detti fenomeni non debba essere limitata all’ambito punitivo, ma vada anche riferita ad una capillare politica culturale e formativa, incentrata sulla prevenzione della violenza di genere, finora al riguardo in Italia le iniziative sul punto apparivano ancora del tutto insufficienti.
Eppure la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica riconosce e sottolinea la dimensione culturale di questa forma di violenza, esigendo, ai sensi dell’art. 12, politiche attive dirette a «promote changes in the social and cultural patterns of behaviour of women and men with the view to eradicating prejudices, customs, traditions and all other practices which are based on the idea of the inferiority of women or on stereotyped roles for women and men».
Al fine di colmare questa lacuna appare ora muoversi la realizzazione nelle scuole, voluta dal Ministro Valditara, di progetti, percorsi educativi, attività pluridisciplinari e metodologie laboratoriali destinate, in particolare, agli studenti delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione, nonchè lo specifico, meritorio Progetto pilota “Educare alle relazioni” contro il maschilismo e la violenza di genere, sia essa fisica o psicologica, parimenti elaborato dal Ministro dell’Istruzione e del merito.
La seconda grave pecca era data dal fatto che, per quanto concerne l’aspetto “giudiziario”, nonostante sia del tutto evidente che l’attenzione delle Autorità debba essere focalizzata non solo sull’opportunità di garantire tempi rapidi nella celebrazione dei processi concernenti questi fatti, onde pervenire ad una “punizione” adeguata e tempestiva, ma anche (e “soprattutto”) sulla necessità di offrire un’adeguata ed immediata protezione alle donne le quali segnalino di essere vittime di episodi di violenza, invece non di rado si era assistito a sostanziali sottovalutazioni di tali segnalazioni ed alla mancata adozione di interventi tempestivi in chiave protettiva; in tal modo non si era conseguentemente evitata la realizzazione di successivi delitti di omicidio nei confronti di queste donne, avrebbero invece potuto essere tutelate adeguatamente.
Va dunque affermato che, in relazione ai quattro “pilastri” sui quali, in base alla Convenzione di Istanbul sulla protezione delle donne, dovrebbe essere fondata la complessiva azione di contrasto alla violenza, rappresentati da: prevention, protection, prosecution e punishment, dal punto di vista operativo nel nostro Paese si era dato molto risalto agli aspetti concernenti gli ultimi due “pilastri”, e cioè “prosecution” e “punishment” e non era stato invece mostrato analogo interesse nei confronti della “prevention” e della “protection”.
Con riferimento all’esigenza di “protection”, sebbene la legge sul “codice Rosso” abbia imposto ai pubblici ministeri di sentire entro i tre giorni successivi alla segnalazione chi abbia denunciato di essere stata vittima di episodi di violenza di genere, non sempre questo limite temporale veniva rispettato.
Al fine di ovviare a tale grave problema si era mosso, correttamente, il già citato Decreto Legge 122/2023 del settembre di quest’anno che, come osservato da Giulia Bongiorno, prima firmataria del progetto di legge, rappresenta un importante passo in avanti, in quanto, laddove un Sostituto Procuratore non rispetti il termine dei tre giorni, il Procuratore potrà ora revocargli l’assegnazione del fascicolo, assegnandolo a sé stesso o ad un altro Sostituto.
Sul piano della concretezza e della prontezza di intervento, in chiave di tutela della vittima, si è ora parimenti mosso il provvedimento del novembre 2023 da noi analizzato.
Si tratta di un intervento che, obiettivamente, non rappresenta certo una riforma “copernicana” o comunque “rivoluzionaria” ma, più semplicemente, introduce, alla luce di un’analisi corretta ed equilibrata, delle misure volte a potenziare la tutela delle vittime di violenza di genere.
L’art. 1, avente ad oggetto il rafforzamento delle misure in tema di ammonimento (nonché la tematica dell’informazione alle vittime) stabilisce che il provvedimento dell’ “ammonimento” emesso dal Prefetto in relazione ad episodi di violenza di genere possa essere revocato, su istanza dell’ammonito, non prima che siano decorsi tre anni dalla sua emissione, e «valutata la partecipazione del soggetto ad appositi percorsi di recupero».
Inoltre l’art. 1 ha fatto discendere dalla misura dell’ammonimento una serie di importanti effetti. E’ stato disposto che le pene previste in relazione ad una serie di reati, ivi specificamente delineati, siano aumentate qualora il fatto sia commesso nell’ambito di violenza domestica da un soggetto già ammonito, e ciò anche qualora la persona offesa sia diversa da quella per la cui tutela sia stato adottato il provvedimento di ammonimento.
Viene inoltre previsto che si debba procedere d’ufficio per una serie di reati (sono indicati al riguardo i reati previsti dagli artt. 581, 582, primo comma, 610, 612, secondo comma, nell’ipotesi di minaccia grave, 612-bis. 612-ter, 614, primo e secondo comma, e 635 c.p.) qualora il fatto sia commesso, nell’ambito della violenza domestica, da un soggetto già ammonito; anche in tal caso risulta irrilevante il fatto che la persona offesa sia diversa da quella per la cui tutela è stato già adottato l’ammonimento.
Particolarmente utile al fine di permettere un tempestivo intervento del Prefetto in relazione ad ipotesi di violenza domestica appare poi la previsione, parimenti contenuta nell’art. 1, in base alla quale l’organo di polizia che procede a seguito di denuncia o querela per fatti riconducibili ai delitti di cui all’articolo 362, comma 1-ter, del codice di procedura penale (tra cui rientrano i reati di lesioni personali e di violenza sessuale) commessi in ambito di violenza domestica, qualora dai primi accertamenti emergano concreti e rilevanti elementi di pericolo di reiterazione della condotta, ne dia comunicazione al Prefetto che in tal caso «può adottare misure di vigilanza dinamica, da sottoporre a revisione trimestrale, a tutela della persona offesa».
L’ art. 2, concernente il “Potenziamento delle misure di prevenzione”, stabilisce, con riferimento al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, che in relazione alle misure di prevenzione adottate per scongiurare episodi di violenza di genere venga incentivato l’utilizzo del c.d. braccialetto elettronico e stabilisce che in caso di manomissione del braccialetto elettronico da parte del soggetto tenuto ad utilizzarlo la misura della sorveglianza speciale non possa essere inferiore a quattro anni. Si dispone inoltre che in caso di adozione della misura del divieto di avvicinamento a determinati luoghi, frequentati abitualmente dalle persone a cui occorre prestare protezione, la misura del divieto non sia inferiore ai cinquecento metri.
L’art. 3 prevede una “corsia preferenziale” nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi in relazione a determinati reati potenzialmente ricollegabili a vicende di violenza di genere.
L’art. 4, concernente la “Trattazione spedita degli affari nella fase cautelare” prevede a sua volta che sia «assicurata priorità anche alla richiesta di misura cautelare personale e alla decisione sulla stessa».
L’art. 5 risponde invece all’esigenza che le indagini concernenti queste tematiche vengano assegnati a Sostituti procuratori che abbiano acquisito una specifica competenza in detti settori. Appare infatti evidente la necessità che simili vicende vengano esaminate alla luce di una particolare sensibilità, volta tra l’altro a scongiurare il pericolo di sottovalutare la gravità delle vicende denunciate.
A dire il vero, già molte Procure di erano attrezzate in tal senso, ma la norma vale a fissare normativamente una simile esigenza.
Del resto la c.d. Convenzione di Istanbulindividua tra i vari obiettivi che gli Stati firmatari devono perseguire in materia anche quello di favorire la specializzazione di tutti gli operatori, fra i quali vanno ricompresi «le autorità giudiziarie, i pubblici ministeri e le autorità incaricate dell’applicazione della legge».
Da tempo il C.S.M., già con le Delibere dell’8 luglio 2009, del 30 luglio 2010, del 12 marzo 2014 e del 20 luglio 2017, aveva sollecitato la specializzazione presso le varie Procure dei magistrati operanti in questi ambiti e successivamente, con la Delibera del 9 maggio 2018 e la Delibera del 3 novembre 2021, onde verificare il grado di conformazione degli Uffici del pubblico ministero alle raccomandazioni delle precedenti delibere, aveva approvato le linee guida in tema di modelli organizzativi e di buone prassi per la trattazione dei procedimenti in materia di violenza domestica e di genere, sottolineando l’assoluta necessità di un approccio “specialistico” ai procedimenti per violenza di genere, volto a consentire lo sviluppo di prassi investigative efficaci e soprattutto atto a garantire un più attento vaglio sulla fondatezza della notitia criminis, idoneo a prevenire e scongiurare la reiterazione di ulteriori e più gravi episodi criminosi ai danni della vittima denunciante.
Non si può peraltro affermare che dette Delibere avessero pienamente raggiunto il loro effetto, come comprovato dal fatto che la Commissione di inchiesta sul femminicidio istituita presso il Senato nel corso della passata legislatura aveva potuto accertare che solo una minoranza delle Procure, pari al 12,3 per cento, aveva confermato la presenza di un gruppo di magistrati specializzati esclusivamente nella violenza di genere e domestica. L’art. 5 si rivela dunque indubbiamente significativo al riguardo.
Venendo ora all’art 6 del provvedimento in esame, parimenti concernente la necessità di una particolare sensibilizzazione da parte degli operatori che a vario titolo si interfacciano con le vittime di episodi di violenza di genere, detta norma, dopo aver sottolineato che una simile esigenza risulta specificamente espressa dalla Convenzione di Istanbul, esclude dalla sua portata le Forze di polizia (in quanto per esse la necessità di una specifica preparazione in materia era già stata delineata dall’ art. 5 della legge 19 luglio 2019, n. 69.
Di fatto pertanto l’art. 6 si rivela rilevante laddove dispone invece che nella definizione delle linee programmatiche sulla formazione proposte annualmente dal Ministro della giustizia alla Scuola superiore della magistratura debbano essere «inserite iniziative formative specifiche in materia di contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica».
Anche in tal caso va osservato come comunque da tempo la Scuola superiore della magistratura nella predisposizione dei suoi corsi formativi avesse mostrato particolare, doverosa attenzione a simili problematiche.
Molto importante risulta il successivo art. 7, che introduce, dopo l’art. 362 c.p.p., l’art. 362 bis c.p.p. (Misure urgenti di protezione della persona offesa), in base al quale laddove si proceda per uno dei reati di genere specificamente delineati dal predetto articolo «il pubblico ministero, effettuate le indagini ritenute necessarie, valuta, senza ritardo e comunque entro trenta giorni dall’iscrizione del nominativo della persona nel registro delle notizie di reato, la sussistenza dei presupposti di applicazione delle misure cautelari». In ogni caso, qualora il pubblico ministero non ravvisi i presupposti per richiedere l’applicazione delle misure cautelari entro detto termine, è comunque tenuto a proseguire nelle indagini preliminari.
Il giudice a sua volta deve provvedere sulla richiesta di misura cautelare entro il termine di venti giorni dal deposito dell’istanza cautelare presso la cancelleria.
Scarsamente significativo appare invece l’art. 8, che si interseca tra l’altro con il disposto del d.l. 122/2023.
Privo di particolare valenza è pure il primo comma dell’art. 9, che si limita ad elevare di sei mesi la pena prevista per il reato di cui all’art. 387 bis c.p. (Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa).
Maggiormente utile appare invece il successivo secondo comma, che commina analoga pena «a chi elude l’ordine di protezione previsto dall’articolo 342-ter, primo comma, del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio».
L’art. 10 introduce, dopo l’art. 382 c.p.p., l’art. 382 bis, concernente l’istituto dell’ “arresto in flagranza differita” ed in base al quale, in relazione a determinati reati di violenza di genere, «si considera comunque in stato di flagranza colui il quale, sulla base di documentazione videofotografica o di altra documentazione legittimamente ottenuta da dispositivi di co- municazione informatica o telematica, dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto».
Viene in tal modo recepito ed ampliato l’istituto dell’arresto in flagranza differito, originariamente introdotto in relazione agli episodi di violenza sportiva, che aveva a suo tempo dato vita a non poche perplessità in ambito dottrinale.
L’art. 11 aggiunge all’articolo 384-bis del codice di procedura penale, dopo il comma 2, il comma 2-bis in base al quale anche fuori dei casi di flagranza il pubblico ministero dispone, con decreto motivato, l’allontanamento urgente dalla casa familiare, con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti della persona gravemente indiziata di alcuni delitti, ivi specificamente delineati «ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave e attuale pericolo la vita o l’integrità fisica della persona offesa e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice».
E’ stato contestualmente introdotto il comma 2-ter, ai sensi del quale entro quarantotto ore dall’esecuzione del decreto di cui al comma 2-bis il pubblico ministero deve richiedere la convalida al giudice per le indagini preliminari competente in relazione al luogo nel quale il provvedimento di allontanamento d’urgenza è stato eseguito.
In base all’ulteriore comma 2–quater il giudice in tal caso è tenuto a fissare l’udienza di convalida al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive, dandone avviso senza ritardo al pubblico ministero e al difensore.
L’art. 12 incentiva ulteriormente l’utilizzo del c.d. braccialetto elettronico in relazione a dette tematiche.
L’art. 13 modifica, tra l’altro, l’art. 280 c.p.p., prevedendo che le sue disposizioni (in base alle quali le misure cautelari personali possono essere applicate solo qualora si proceda per delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni e la custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni,) non si applicano nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 387-bis e 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del codice penale.
Meno significativi appaiono invece gli articoli successivi.
Va solo menzionato l’art. 15, che modifica l’art. 165 c.p., delineando peraltro una disposizione che già in precedenza risultava ovvia.
Il previgente testo dell’art. 165 c.p. si limitava a stabilire che in relazione a taluni delitti, tra cui rientrano quelli di violenza di genere, la possibilità di concessione della sospensione condizionale della pena dovesse comunque essere subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso appositi enti o associazioni.
Era evidente che non bastava al riguardo una generica partecipazione, ma occorreva una partecipazione “attiva”, atta a permettere un effettivo percorso di rimeditazione delle precedenti condotte.
L’attuale norma, introdotta dall’art. 15, ha espressamente disposto al riguardo, superfluamente, che la sospensione condizionale della pena è subordinata al «superamentocon esito favorevole» di detti corsi di recupero.
Infine l’art. 17 introduce la possibilità di una provvisionale a favore delle vittime di violenza di genere qualora la persona interessata o, in caso di sua morte, i suoi aventi causa vengano a trovarsi in stato di bisogno.
Così conclusa questa breve disamina, possiamo affermare, riassuntivamente, che siamo in presenza di disposizioni equilibrate, ispirate a razionalità, utili ma non certamente “risolutive”.
Va ribadito che il fenomeno può essere realmente arginato, se non del tutto estirpato, solo in base ad una corretta politica preventiva, in chiave culturale, e sotto questo aspetto certamente risulteranno fondamentali i progetti educativi in ambito scolastico voluti dall’attuale Ministro Valditara.