Riccardo de Caria
Professore associato di diritto dell’economia, Università di Torino
Uno degli anniversari che cadranno nel 2024 sarà il 75° anniversario dalla pubblicazione da parte di Hayek di “The Intellectuals and Socialism”, sulla Chicago Law Review.
In questo breve ma importante saggio, di un’attualità strepitosa, Hayek si interrogava sul fenomeno, già allora diffuso, dell’inclinazione degli intellettuali verso gli ideali socialisti, un tema che aveva già interessato autori come Schumpeter e interesserà ancora tanti altri, dal maestro di Hayek, Mises, con il suo libro “The Anti-Capitalistic Mentality”.
Con l’acume che gli era proprio, l’economista austriaco descriveva il paradosso per cui perfino giornali, tv e università di proprietà di imprenditori “capitalisti” finivano col fare da cassa di risonanza al socialismo.
Come giustamente scrissero Haeffele e Harnish in occasione del 70° anniversario, questo lavoro di Hayek va letto, prima ancora che come una critica al socialismo, come una chiamata alle armi degli intellettuali liberal-conservatori.
In un’epoca di grande successo, nelle accademie e nel dibattito pubblico prima di tutto americano, del wokeism e del pensiero debole, dell’ambientalismo ideologico e della lotta al profitto, appare quanto mai urgente, per chi dedica la propria vita allo studio e non si riconosce nelle tesi che sembrano in vantaggio “quantitativo” nelle culture wars in atto, rifarsi alla lezione di Hayek e ritrovare un certo orgoglio nel proporre una “narrazione” diversa.
Molto bene ha fatto quindi la Scalia Law School a lanciare un’iniziativa (per partecipare alla quale è possibile candidarsi ancora fino al 22 gennaio) per raccogliere i contributi di tutti coloro che, sfidando le leggi della convenienza che li vorrebbero allineati su posizioni stataliste, vogliono contrastare i nuovi manifesti anticapitalisti come quelli lanciati a Yale con il Law & Political Economy Project, che mirano a strumentalizzare il diritto per costruire “un altro mondo possibile” all’insegna dell’uguaglianza e della giustizia sociale.
Tocca ai liberali, liberisti, conservatori e libertari trovare il coraggio di proporre un’accademia e un mondo delle idee dove possono trovare spazio anche intellettuali che rigettano il socialismo. Dalle colonne del sito dell’Acton Institute, Isaac Willour ha recentemente ammonito contro il rischio di limitarsi alla pars destruens: molto spesso i fautori dell’uguaglianza promuovono politiche liberticide, ed è doveroso rilevarlo, ma troppo spesso chi lo fa usa un modi e linguaggi che finiscono con il respingere chi non è già d’accordo.
La sfida è quella di prospettare ad esempio un approccio individualista al problema delle relazioni razziali negli Stati Uniti, e alle tante altre grandi questioni che attraversano le nostre società. E di farlo con una certa consapevolezza e orgoglio, dimostrando che un altro mondo “delle idee” è possibile, e intellettuale non deve essere sinonimo di socialista.
L’influenza che uno studioso fautore di una versione senza compromessi del liberalismo, quale Huerta de Soto, ha sul nuovo presidente argentino Milei, e lo stesso fatto che, in un contesto così segnato da anni di peronismo, sia stato possibile per Milei vincere un’elezione presidenziale all’insegna di parole d’ordine addirittura anarco-capitaliste, dimostra che il percorso verso la statalizzazione della società non è irreversibile, e gli intellettuali possono giocare un ruolo decisivo nell’orientare la politica verso scenari di maggiore rispetto della libertà individuale e dei diritti di proprietà.
Il rapporto tra Huerta de Soto e Milei, ben raccontato da Lottieri sul Giornale alcuni giorni fa, dimostra che non solo gli intellettuali non devono essere socialisti, ma gli intellettuali non socialisti non sono necessariamente condannati al ruolo di vox clamantis in deserto, ma possono giocare un ruolo importante per promuovere una nuova stagione di libertà e prosperità per tutti, assai più realistica di quella inverosimile prospettata da movimenti come il Law & Political Economy Project e dai suoi tanti, troppi cloni.