Sostenibilità e libero mercato: un nuovo equilibrio globale?

Riccardo de Caria

Negli ultimi anni, il concetto di sostenibilità ha acquisito una centralità crescente nel dibattito pubblico e nelle politiche globali. Nato come risposta alle crisi ambientali e sociali, questo principio è stato integrato nei sistemi giuridici ed economici di molti Paesi, segnando un’evoluzione significativa nella regolamentazione delle imprese e del mercato. Tuttavia, questo cambiamento solleva interrogativi cruciali: è possibile conciliare gli obiettivi di sostenibilità con i principi fondamentali del libero mercato? Oppure ci troviamo di fronte a una trasformazione che richiede una revisione radicale delle regole del capitalismo?

Un cambiamento costituzionale e normativo

Il percorso verso una maggiore integrazione della sostenibilità nelle politiche pubbliche ha radici profonde. Nel 2015, l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite ha definito 17 obiettivi globali di sviluppo sostenibile, che comprendono temi come la riduzione delle disuguaglianze, la protezione ambientale e la lotta alla povertà. Questi obiettivi, pur non vincolanti a livello normativo, hanno ispirato una serie di leggi e regolamenti sia a livello nazionale che sovranazionale.

In Italia, il principio di sostenibilità è stato introdotto nella Costituzione già nel 2012 con riferimento al debito pubblico, e indirettamente ripreso 10 anni dopo, con specifico riguardo alla materia ambientale, quando si è deciso di esplicitare la tutela ambientale come limite all’iniziativa economica privata. Questo aggiornamento costituzionale segna un cambiamento significativo, che legittima interventi pubblici più incisivi per garantire che l’attività economica sia orientata a fini sociali e ambientali.

Parallelamente, l’Unione europea ha adottato una serie di normative per promuovere la sostenibilità, come la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e la più recente Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD). Queste direttive obbligano le imprese a monitorare e riportare il loro impatto ambientale e sociale, imponendo per alcuni versi una trasformazione dei modelli di business tradizionali.

Le sfide della sostenibilità: fallimenti del mercato e intervento pubblico

Alla base di queste normative c’è la convinzione che il libero mercato, da solo, non sia in grado di affrontare problemi complessi come il cambiamento climatico e le disuguaglianze sociali. Questo fenomeno, generalmente descritto come “fallimento del mercato”, si verifica quando i meccanismi di mercato sembrano non riuscire a garantire un’allocazione efficiente delle risorse, causando danni collettivi.

Un esempio classico è l’inquinamento: le aziende che producono emissioni nocive spesso non ne sopportano i costi, che ricadono invece sulla società nel suo complesso. Questa situazione giustifica tradizionalmente l’intervento statale per “internalizzare” i costi ambientali, ad esempio attraverso tasse sulle emissioni o incentivi per tecnologie pulite.

Un altro concetto chiave è quello della “tragedia dei beni comuni”, che descrive il rischio di sfruttamento eccessivo delle risorse condivise, come l’acqua e l’aria. Senza regole, la letteratura prevalente ha ritenuto che queste risorse rischino di essere consumate in modo insostenibile, con conseguenze gravi per le generazioni future.

Un nuovo paradigma per le imprese

Le recenti normative europee vanno oltre la semplice correzione dei fallimenti del mercato. Esse sembrano proporre un nuovo paradigma, in cui le imprese non sono più viste solo come entità costituite per il perseguimento del profitto, ma come attori responsabili del progresso sociale e ambientale. Questo approccio è evidente nel concetto di “triple bottom line”, che misura il successo aziendale non solo in termini economici, ma anche in base agli impatti sociali e ambientali.

Tuttavia, questa transizione non è priva di sfide. L’obbligo per i manager di bilanciare obiettivi ambientali con quelli finanziari può generare conflitti di interesse e mettere in discussione principi fondamentali della governance aziendale. Inoltre, la crescente pressione normativa rischia di soffocare la libertà imprenditoriale, con potenziali ricadute negative sull’innovazione e sulla competitività.

L’alternativa del free-market environmentalism

Di fronte a queste sfide, alcuni economisti propongono un approccio alternativo: il “free-market environmentalism”. Questa teoria sostiene che il mercato, se lasciato libero di operare e supportato da una forte tutela dei diritti di proprietà, possa offrire soluzioni più efficaci rispetto all’interventismo statale.

Ad esempio, un proprietario terriero ha incentivi a preservare una foresta se può trarne benefici economici, come la vendita di legname o il turismo. Allo stesso modo, meccanismi come le certificazioni ambientali (di mercato) possono aiutare i consumatori a fare scelte sostenibili, senza bisogno di penetranti regolamentazioni statali.

La sostenibilità e la trasformazione del capitalismo

Le normative recenti, come l’obbligo per i costruttori di veicoli di abbandonare i motori endotermici o la direttiva sull’efficienza energetica degli edifici, non sembrano accogliere però questa prospettive: esse sono volte al perseguimento un’economia più sostenibile, ma – ammesso che siano efficaci nel raggiungere l’obiettivo – lo fanno comunque interferendo profondamente con la libertà imprenditoriale e il diritto di proprietà, e sollevando così inevitabili interrogativi sul futuro del sistema di mercato.

La questione centrale è se queste normative siano compatibili con un sistema capitalista classico di libero mercato, o se richiedano una revisione radicale dei suoi principi fondamentali. Alcuni studiosi sostengono che il capitalismo possa evolvere per integrare la sostenibilità, ma altri vedono in queste normative un rischio di sovvertimento dell’ordine economico tradizionale.

Il ruolo delle costituzioni e del diritto internazionale

Un elemento chiave in questo dibattito è il ruolo delle costituzioni e delle norme internazionali. In molti Paesi, la tutela ambientale è stata elevata a diritto costituzionale, giustificando interventi pubblici più incisivi. Tuttavia, questo processo solleva domande su come bilanciare la protezione dell’ambiente con la libertà economica.

Ad esempio, la recente riforma costituzionale italiana del 2022 ha aggiunto la tutela ambientale tra i principi fondamentali, ma si ritiene abbia trascurato il dibattito sul bilanciamento con il diritto al profitto. Questo squilibrio potrebbe creare tensioni tra le esigenze di sostenibilità e i diritti economici.

Conclusioni: verso un nuovo equilibrio?

La sensazione è che, anche se non sembra esservene piena consapevolezza neppure tra molti dei fautori di queste riforme, ci si trovi pertanto di fronte a un bivio: preservare i principi tradizionali del libero mercato o abbracciare un nuovo modello economico, in cui la sostenibilità diventi un obiettivo prioritario. Questo cambiamento richiede un equilibrio delicato, che tenga conto delle esigenze di tutela ambientale e sociale senza compromettere la libertà imprenditoriale.

Non è detto, però che sia effettivamente possibile conciliare questi obiettivi; forse, il compromesso tra sostenibilità e mercato rimane, in ultima analisi, un’illusione, e occorrerà presto o tardi che i vari ordinamenti scelgano a quale dare una netta priorità. Senza che la scelta per una tutela forte dei diritti economici implichi un sacrificio per l’ambiente: nella logica ricordata del free-market environmentalism, si ha una piena compatibilità tra una tutela forte dell’ambiente e i principi del libero mercato. Ciò che verrebbe sacrificata semmai è un’agenda carica di impostazione ideologica che rischia di sovvertire tali principi, e peraltro di ottenere perfino scarsi risultati concreti nella preservazione e tutela dell’ambiente per le generazioni attuali e future.

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