Un percorso costituente per la Difesa europea

Le condizioni di Sicurezza in cui versa oggi l’Europa sono tali per cui, se dovessimo fare la somma dei 27 eserciti dei paesi membri, non riusciremmo a mettere insieme un’unica macchina militare, un unico dispositivo con cui proteggere i nostri cittadini ed i nostri valori.
All’appello mancherebbero capacità derimenti ai fini della condotta di operazioni militari belliche mentre invece rileveremmo inutili quanto costose ridondanze in altri comparti.

L’ultimo esempio probante, seppure ve ne fosse bosogno, si è manifestato con estrema chiarezza nelle operazioni belliche contro la Libia di Gheddafi, nel 2011. Partimmo lancia in resta, alla francese, e dopo appena 15 giorni dovemmo chiedere aiuto agli USA per continuare le operazioni e per evitare di farci male tra di noi.

E siamo ancora lì. Il sistema Europa, così come lo abbiamo concepito e disegnato, continua a resistere oltre ogni immaginazione alle sollecitazioni di ogni tipo, comprese quelle brutali e dalle prospettive piuttosto inquietanti di questi giorni.
In più, i paesi che dovrebbero esercitare un ruolo guida attaversano un momento di profonda debilitazione politico istituzionale che taglia loro le gambe anziché rinvigorire il sistema.
In un contesto diverso, meno dominato da bizzarre coreografie di potere, perduranti narcisismi o interessi di parte non dovrebbe essere particolarmente complicato tracciare un percorso costituente lungo il quale pervenire ad accettabili livelli di sicurezza.
Intanto il primo assunto certo è che sarebbe illusorio partire tutti insieme, troppo differenti sono le sensibilità sul tema della sicurezza, quanto meno prenderebbero corpo due correnti inconciliabili, quella dei paesi del nord, segnatamente quelli già appartenuti all’Unione Sovietica, e quelli del sud, meno preoccupati del pericolo da est, ma più concentrati sul fianco meridionale.

Va pensato un Consiglio di Capi di Stato e di Governo costituente, dal quale possa uscire un gruppo di paesi guida, quelli che da subito condividono un’idea comune di Sicurezza e Difesa, salvo poi, nel tempo ed in ogni momento opportuno, consentire l’ingresso ai paesi restati fuori, fino a giungere ad una massa critica di dimensioni continentali, neutralizzando così anche il nefasto meccanismo delle decisioni all’unanimità.
I passi successivi, i più impegnativi, dovrebbero riguardare la messa a punto dei cardini del nuovo sistema, compito non agevole in cui la volontà di addivenire al risultato prevalga sull’ egoismo di parte.
Cosa dovrà essere il nuovo strumento, uno scudo per difendersi, o qualcosa di diverso, qualcosa che superi le esigenze di proteggere se stessi e gli alleati? Quesito non banale, considerato che la NATO finora è scesa in campo in armi solamente in interventi che nulla avevano a che fare con il principio fondante, la solidarietà tra alleati sottoposti -anche uno solo- ad attacchi militari.

Quali dovranno essere i rapporti con la NATO? Finora si è pensato che gli USA non vedessero di buon occhio la nascita di uno strumento militare comune in affiancamento all’Alleanza Atlantica, e tuttavia, vero o falso che sia, l’ostacolo va superato, anche richiamando l’impegno assunto senza tentennamenti nel corso dell’ultimo summit a Washington, quello contenuto nel paragrafo 29 del comunicato finale che sollecita ed auspica una difesa europea forte, complementare alla NATO.
La suddivisione delle spese, le partnership esterne all’Unione, la dottrina di impiego delle forze, gli standard capacitivi, il comparto industriale ed altri ancora sono i temi cui andrà messa mano; sono questioni cardine ed ineludibili, da affrontare quanto prima e con la partecipazione di tutti, se vogliamo finalmente affrancarci dall’avvilente dipendenza dagli Stati Uniti e prendere in mano le nostre sorti, la nostra sicurezza.

Leonardo Tricarico, Generale, Presidente Fondazione ICSA e già Capo di Stato Maggiore dell’Areonautica Militare

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