La Germania ha votato: le nuove alchimie politiche

Federico Niglia, Professore di Storia delle relazioni internazionali, Università degli Stranieri di Perugia

Le elezioni che si sono appena tenute in Germania partivano da un unico e grande interrogativo: quello relativo al risultato che avrebbe ottenuto Alternative für Deutschland. Tutto veniva analizzato e declinato per comprendere se ed eventualmente in che misura la formazione di estrema destra guidata da Alice Weidel e Tino Chrupalla avrebbe sovvertito il sistema politico della Bundesrepublik. Alla fine il quesito ha ottenuto una risposta: AfD è una forza sistemica con oltre il 20 per cento dei consensi. Di fatto, quella che un tempo era la Repubblica Democratica Tedesca ha votato in blocco per questa formazione.

L’affermazione sempre più prepotente di un partito che, unico nel panorama politico tedesco, afferma esplicitamente di voler smontare il costrutto della partecipazione tedesca all’integrazione europea ha però stimolato una risposta di molti cittadini. Alla fine si è avuto un risultato forse diverso da quello che ci si poteva aspettare ancora un mese fa. Si tratta di un esito complesso che richiede alcune riflessioni.
Il primo dato su cui riflettere riguarda i due partiti maggiori. La CDU guidata da Friedrich Merz ottiene un risultato pieno e riguadagna la capacità di guidare il governo, una capacità che aveva perso nelle precedenti elezioni. È un partito sicuramente diverso da quello che aveva guidato Angela Merkel, non fosse altro per gli orientamenti del suo leader. Ma è anche un partito che ha riscoperto una sua più chiara e netta vocazione di centro-destra che gli ha permesso di compattare il suo elettorato. A questo si contrappone invece una socialdemocrazia in forte crisi: l’SPD paga certamente una crisi identitaria del socialismo europeo, ma appare anche la vittima di una coalizione semaforo, in cui il prezzo della mediazione tra verdi e liberali è stato pagato dal cancelliere e dal suo partito.

Questo quadro dei partiti maggiori ci porta a ragionare sulle altre forze che compongono il panorama politico tedesco e ad attrarre per prima l’attenzione è AfD. Questa ottiene un risultato enorme, che va al di là del dato numerico (superamento della soglia psicologica del 20 per cento). È la prima volta che in Germania un partito che mette esplicitamente in discussione alcuni assunti valoriali fondamentali della Germania postbellica, primo fra tutti quello dell’europeismo, ottiene un risultato capace di alterare gli equilibri nazionali. Molto clamore ha suscitato, in Germania ma non solo, il sostegno dato ad AfD da Elon Musk. Questo sostegno si è però rivelato poco utile, se non controproducente, nella misura in cui ha stimolato quello che potremmo definire come un “riflesso repubblicano” che ha spinto gli elettori incerti di altri partiti ad andare a votare. Il clima generale ha anche influenzato l’andamento elettorale sul fronte della sinistra: penalizzato il movimento personalistico di Sahra Wagenknecht (che resta fuori dal parlamento anche se la leader ha contestato il voto), l’elettorato della sinistra più ortodossa ha premiato la Linke, un partito che molti avevano dato per “rottamato” proprio dal BSW. La lista degli esclusi si chiude con i liberali di Christian Lindtner, oscurati anche da una CDU-CSU che, riposizionandosi a destra, ha fatto venire meno l’ubi consistam di un partito che spesso rimane stritolato dalle logiche dei partiti maggiori.

Nel ragionamento sulle possibili coalizioni è giusto svolgere una considerazione preliminare circa l’idea, sostenuta da più di uno anche in Italia, della presunta convergenza tra CDU e AfD. Questo scenario viene immaginato partendo dalla premessa che questi due partiti, accomunati seppur in modo diverso da un afflato conservatore, possano convergere dopo essersi collocati rispettivamente al primo e al secondo posto. Il vizio di fondo di questo ragionamento sta nel fatto che in realtà i due partiti, al di là del Nein! di Merz all’ipotesi di ogni alleanza, presentano delle differenze fondamentali. La CDU è e rimane un partito che concepisce il ruolo della Germania come europeo ed atlantico nel senso più classico, secondo i dettami che furono di Adenauer. AfD, nella sua forma attuale (che non è detto che non cambi visto la fluidità che ha sempre caratterizzato questo partito dalla sua nascita nel 2013), è, al contrario, un partito che si alimenta del rigetto di queste due dimensioni e propone una ritrazione della Germania che non rientra nella visione cristiano-democratica.

Questo ci porta a un ultimo ragionamento sulla futura grande coalizione che si va delineando. L’idea di partenza è quella di una coalizione che includa l’SPD con i Verdi all’opposizione. In un panorama caratterizzato da una crescente incertezza, CDU e SPD potranno trovare forse nuovi motivi di coesione, ma in ogni caso quel che ci consegnano queste elezioni è un Paese spaccato con i socialdemocratici penalizzati per le scelte fatte negli anni in cui sono stati al governo.

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