Domenico Rossi, Generale, già Sottocapo di Stato Magiore dell’Esercito
E’ passato poco più di un mese da quando Donald Trump si è insediato come 47^ Presidente degli Stati Uniti, sufficiente a volere ribadire la volontà di porre termine in tempi brevi alle situazioni conflittuali in atto in Medio Oriente e tra Ucraina e Russia.
Di fatto nulla di nuovo per quanto concerne il Medio Oriente, ove al di là di accuse e ritorsioni più dialettiche che concrete tra Israele, Hamas e Hezbollah la situazione sta proseguendo secondo i pregressi accordi. Sul fronte libanese le Forze Armate Israeliane stanno ritirandosi progressivamente dal Libano sui confini concordati non senza distruggere le infrastrutture, armi ed equipaggiamenti di Hezbollah. Nella striscia di Gaza la tregua regge stante la restituzione di ostaggi israeliani o dei corpi di quelli uccisi/morti ,a fronte della liberazione di moltissimi detenuti palestinesi.
In sintesì, non si registrano novità particolari se non l’ipotesi formulata dal presidente Trump, rigettata peraltro da tutto il mondo arabo, di trasformare la striscia di Gaza in una località turistica di alto livello, con il trasferimento forzato di circa due milioni di Palestinesi in luoghi non identificati. I contatti intervenuti tra il Premier Netanyahu e il Presidente Trump e gli aiuti promessi sembrano confermare anzi rinsaldare i rapporti tra i due Paesi.
Per quanto concerne invece il conflitto tra Ucraina e Russia il dinamismo del Presidente Trump e dei suoi incaricati hanno finanche dato l’impressione di un forte scontro politico/strategico tra l’Europa e gli Stati Uniti.
Trump nella ricerca della fine del conflitto, sta ritenendo essenziale innanzi tutto riallacciare i rapporti con la Russia, come dimostrato dalla conversazione telefonica con Putin (12 febbraio) e dalla riunione organizzata a Riad (18 febbraio),escludendo da quest’ultima rappresentanti ucraini ed europei, propedeutica anche un incontro a breve scadenza tra Putin e Trump. Una riunione che oltre al ripristino dell’azione diplomatica è sicuramente servita a comprendere le condizioni che le due parti vorrebbero includere in un accordo di pace. Un accordo peraltro di cui, al di là delle dichiarazioni più o meno ufficiali su cui è difficile esprimersi, sembra ben lontano dall’essere raggiunto visto che la Russia non appare intenzionata a ritirarsi dai territori occupati né a concedere una futura adesione ucraina alla NATO, né risulta favorevole a forze occidentali di peacekeeping che salvaguardino un eventuale cessate il fuoco o la pace.
In ogni caso l’atteggiamento americano verso il conflitto in Ucraina è indubbiamente cambiato come si può evincere da varie considerazioni.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha influenzato gli aiuti americani alla volta di Kyiv, che ora non sembrano più cosi scontati anche se per ora gli aiuti militari sembrano essere al sicuro. Gli aiuti appaiono essere quasi più un’arma negoziale del Presidente che può far perno sugli stessi sia nei confronti dell’Ucraina che della Russia per cercare un compromesso negoziale.
Aiuti che sembrano essere subordinati anche dalla accettazione ucraina alla esplicita richiesta del Presidente di ottenere “l’equivalente di circa 500 miliardi di dollari in terre rare” quale ricompensa per il supporto fornito all’Ucraina. In effetti da gennaio 2022 a dicembre 2024, l’Ucraina ha ricevuto 267 miliardi di euro in aiuti militari, finanziari e umanitari, di cui 113 miliardi dell’Unione Europea e 19 miliardi da Stati europei non appartenenti al blocco comunitario (Regno Unito su tutti). Gli USA hanno fornito aiuti per 114 miliardi ovvero più di tutti i 27 stati membri UE . Questa prima proposta è stata respinta ma ha dato luogo a varie successive mediazioni al punto che il 28 febbraio il Presidente Ucraino dovrebbe andare negli Stati Uniti per la stipula di un accordo in materia sulla cui forma e contenuti peraltro ancora non c’è chiarezza.
In vari momenti Trump o i suoi inviati hanno inoltre stigmatizzato il fatto che l’Europa non ha in passato investito e non sta investendo abbastanza nella propria difesa, delegandola a Washington. Non è un caso che il segretario generale della NATO Mark Rutte abbia sottolineato che i Paesi dell’Alleanza atlantica dovranno destinare alla difesa “molto più del 3%” del loro PIL mentre Ursula von der Leyen ha proposto di attivare la clausola di salvaguardia del Patto di stabilità appositamente per gli investimenti nella difesa.
Infine merita sottolineare che all’interno di questo diverso approccio americano nei confronti della Russia nel terzo anniversario dell’invasione dell’Ucraina, gli Stati Uniti si sono schierati all’ONU due volte con la Russia. La prima volta votando contro una risoluzione presentata dall’Ucraina che definiva la Russia “aggressore” e chiedeva il ritiro delle forze russe dai propri confini. La seconda volta presentando una risoluzione, che chiedeva la “rapida fine della guerra” ma senza condannare Mosca. Una situazione che può essere considerata non solo incidente negativamente sul sostegno a Kiev ma anche sull’alleanza transatlantica che ha sostenuto la sicurezza europea dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Ne deriva chiaramente come Trump consideri la Russia il vero e unico interlocutore con cui negoziare la fine del conflitto.
In tutto quanto questo l’Europa si é dimostrata sempre più fragile e sempre meno coesa. Ne sono riprova almeno due elementi.
Il primo che la riunione indetta dal Presidente Macron il 17 febbraio con soli altri sette leader europei non ha raggiunto l’obiettivo di concordare una strategia comune verso gli Stati Uniti.
Il secondo è che il successivo approccio con il Presidente Trump è stato ancor meno omogeneo ove si consideri la visita ,che può essere definita autonoma, del presidente Macron del 24 febbraio presso la Casa Bianca e quella successiva del Premier britannico Starmer. Le dichiarazioni rilasciate durante e a margine dei due incontri sembrano molto più improntate al rispetto reciproco e a comuni obiettivi generici che ad effettivi risultati di una linea d’azione comune per una pace che tuteli l’Ucraina e la sicurezza dell’Europa.
Per ultimo funzionari statunitensi e russi si sono incontrati il 27 febbraio a Istanbul, per ben sei ore e mezzo, formalmente solo per discutere del ripristino delle operazioni diplomatiche, lasciando apparentemente la questione Ucraina fuori dall’agenda.
In conclusione, ci troviamo almeno apparentemente in una fase di transizione o comunque di prenegoziazione, con il rischio ancora forte di una marginalizzazione europea nel contesto di scelte di sicurezza globali influenzate da un nuovo disegno americano, derivante dallo spostamento degli interessi strategici, commerciali verso l’Indo pacifico ovvero volto a spezzare il possibile asse Russia Cina.
L’Europa è chiamata ad assumersi nuove responsabilità verso la propria difesa mettendo a sistema le forze e le risorse già oggi disponibili, ove si consideri che il budget riservato ad essa nel globale è secondo solo agli Stati Uniti.
Dalla risoluzione del conflitto in Ucraina infine l’Europa può e deve trarre lo spunto per diventare effettivamente una realtà geopolitica, economica e industriale capace di potere competere nel mondo della globalizzazione pena l’inesorabile decadenza.