Marco Enrico Ricotti, ordinario di impianti nucleari al Politecnico di Milano
L’Europa sta progressivamente riscoprendo l’energia nucleare: è un trend che prosegue da alcuni anni, certamente accelerato dalla guerra in Ucraina e dalle instabilità dei mercati energetici. Oltre alla Francia, che ha in programma un grande piano, sia di ammodernamento del suo vasto parco reattori sia di costruzione di reattori di grande taglia (6 unità EPR2, più eventuali altre 8) e di piccola taglia modulare (Nuward), è il caso di citare i cambi di direzione sul nucleare in Svezia, Belgio, Olanda, addirittura in Spagna dove il Parlamento ha approvato una mozione che chiede al governo Sanchez di ribaltare la decisione circa il phase-out dall’atomo. Poi i programmi nucleari di Finlandia, Romania, Slovacchia, Slovenia. Nella Repubblica Ceca, la gara per la realizzazione di due nuovi reattori di grande taglia è stata vinta dai coreani, che hanno battuto francesi e americani. Infine, l’ingresso nel club nucleare di nuove nazioni come Polonia e Norvegia e il possibile clamoroso ritorno di due paesi fondatori dell’Europa: Germania e Italia.
E’ un ritorno di interesse che non può sorprendere, a causa del ruolo attuale e futuro dell’energia nucleare. Il centinaio di reattori in funzione oggi nell’Unione Europea rappresenta (dati 2024) la prima fonte di energia elettrica decarbonizzata e programmabile con oltre il 25%, seguita da eolico (19%), idroelettrico (13%), fotovoltaico (quasi 10%), mentre le fossili sono al 13% con il gas e al 10% con il carbone. Se invece guardiamo al totale dei consumi energetici, le fossili sono ancora di gran lunga le più importanti, con circa il 70%.
L’importanza del nucleare si comprende ancora meglio guardando ai tre paesi di riferimento del continente: Francia, Germania e Italia. Sul versante delle emissioni da produzione elettrica, gli ultimi due hanno spinto decisamente sulle rinnovabili nei quindici anni passati, tuttavia la Germania ha chiuso le proprie 14 centrali nucleari per riaprire vecchie centrali a lignite ed oggi emette in media circa 360 grammi di CO2 equivalente per ogni kWh di elettricità prodotta, l’Italia invece, ancora dipendente dal gas per il 40% della propria produzione elettrica, ne emette circa 330. Sul versante dei prezzi medi, secondo Eurostat 2024 la Germania si attesta a 293 €/kWh, l’Italia a 274. Il confronto con la Francia e il suo parco nucleare è impietoso: emette solo 30 grammi di CO2 e vende elettricità a 212 €/kWh.
Proprio grazie ai prezzi, la Francia ha esportato nel 2024 ben 89 TWh elettrici verso i due principali importatori europei, Germania (28 TWh importati) e Italia (52 TWh). Uno smacco non indifferente per i tedeschi, che sulle politiche green hanno spinto l’intera Europa e che nel 2011 hanno deciso di abbandonare il nucleare perché “non etico” produrlo e anche importarlo. Una incoerenza decisamente palese.
Tuttavia, l’ostinata e ideologica posizione europea del Green Deal sembra non essere cambiata neanche nel nuovo Clean Industrial Deal, nonostante la forza dei numeri e l’enorme crisi dell’Europa sull’energia: la dipendenza strategica dalla Cina per rinnovabili e batterie, sia quelle per gli accumuli energetici sia per le auto, viene ingenuamente considerata risolvibile attraverso l’economia circolare, mentre le linee fondamentali del Green Deal vengono sostanzialmente riproposte e giustificate, nonostante i messaggi espliciti contenuti nel rapporto Draghi, tanto che l’unico obiettivo numerico inserito nel documento è quello di 100 GW di rinnovabili da installare all’anno da oggi al 2030, in aperto contrasto con la presunta neutralità tecnologica, pur scritta nello stesso documento. Una discreta confusione e una scarsa comprensione della realtà.
Nonostante la conferma dell’approccio ideologico al tema anche nella nuova commissione europea, qualche segnale in contrasto emerge sul versante nucleare: nel 2024 l’avvio dei lavori dell’alleanza industriale europea sugli Small Modular Reactors, con nove progetti di reattore già identificati, e a febbraio 2025 la nascita della European Nuclear Business Alliance formata da 14 associazioni confindustriali, tra le quali anche quella italiana, per rafforzare l’ecosistema nucleare europeo.
Nel frattempo, l’Italia si muove verso l’atomo sotto la spinta della sua supply chain, numerosa e molto ben posizionata e attiva a livello internazionale; dei settori energivori, i quali vedono nel nucleare la possibilità di risolvere in prospettiva o almeno alleviare i loro problemi di competitività per gli alti costi dell’energia; dell’azione governativa, con il disegno di legge-delega sul nucleare approvato a febbraio dal Consiglio dei ministri. Oltre al Ministero per l’Ambiente e la Sicurezza Energetica che ha lanciato la Piattaforma Nazionale per il Nucleare Sostenibile e i cui lavori hanno originato il ddl, anche Confindustria ha organizzato un proprio tavolo di lavoro sul tema. A questo quadro fa da contorno un crescente interesse verso il nucleare da parte delle giovani generazioni.
La decarbonizzazione dell’energia italiana e la contemporanea riduzione della forte dipendenza strategica da paesi “critici”, non può prescindere da un contributo nucleare. L’idea di un futuro 100% rinnovabile è realisticamente impossibile, a causa dei costi di sistema che crescerebbero in modo esponenziale, quando la percentuale di energia da fonti rinnovabili non programmabili salisse oltre il 60-70%, come dichiarato dallo stesso capo del dipartimento energia del Ministero e come confermato dallo studio Edison del 2023 (400 miliardi di euro di risparmi al 2050 con il 20% di nucleare).
Il ddl-delega rappresenta un passo fondamentale nel lungo tragitto verso un nucleare italiano.
Nel testo sono contenuti tutti i principali elementi per la corretta strutturazione di un programma nucleare nazionale, in linea con quanto suggerito dall’agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA), dall’organismo competente europeo (Euratom) e dall’agenzia nucleare dell’OCSE (NEA): tutte e tre sono opportunamente citate nel ddl.
Le azioni principali sono ben identificate: il programma nazionale complessivo per il nucleare, comprensivo di un nuovo mix energetico, che guarda non solo all’ambiente ma anche alla sicurezza e all’indipendenza energetica e al contenimento dei costi per cittadini e aziende; le iniziative di informazione e di coinvolgimento dei cittadini; la promozione e la valorizzazione dei territori che saranno interessati dalla realizzazione delle nuove centrali; l’istituzione di un’autorità di sicurezza nucleare, indipendente ed opportunamente fornita di risorse umane, strumentali e finanziarie; il sostegno, sia normativo sia finanziario, alla realizzazione delle centrali; la scelta delle migliori tecnologie nucleari, includendo nell’analisi in particolare gli small modular reactors (SMR) e la loro versione avanzata (AMR); la possibilità di riconoscere e sfruttare i processi autorizzativi già svolti in altri paesi sulle medesime tecnologie, per favorire una accelerazione della fase realizzativa.
In tale scenario, emergono cinque priorità sulle quali sarebbe opportuno concentrare risorse e attenzioni:
• l’istituzione di una vera autorità di sicurezza nucleare, trasformando l’attuale ispettorato: un punto esplicitamente richiesto dalle organizzazioni internazionali e non sufficientemente chiarito nel ddl;
• il lancio immediato di iniziative di informazione della popolazione, per favorire un dibattito aperto nella società;
• la progettazione e la realizzazione di programmi di formazione, non solo universitari: gran parte degli addetti alla filiera nucleare, infatti, dovranno essere formati attraverso iniziative di ITS Academy;
• la celere calendarizzazione di una profonda discussione del ddl in Parlamento al fine di una rapida approvazione;
• il lancio della newco, la nuova compagine industriale composta da ENEL (51%), Ansaldo Nucleare (39%) e Leonardo (10%), alla quale spetterà l’importante compito di fare emergere gli interessi economico-industriali nazionali (utilities, supply chain, end-users energivori) e avviare l’analisi dei possibili partner tecnologici, francesi, statunitensi, inglesi, magari pure coreani.
Le premesse sono positive, la compagine governativa appare coesa sul tema, il comparto industriale decisamente interessato: gli ingredienti sono quelli giusti, servono competenza tecnica e coraggio politico. Una prova per cittadini e istituzioni.