Flavio Felice, Ordinario di Storia delle Dottrine Politiche Università del Molise
Vorrei cogliere l’occasione del settantacinquesimo anniversario della Petizione per un Patto di Unione Federale Europea, pubblicata in “Europa Federata” il 30 marzo 1950, per presentare la prospettiva europeista di un gigante del pensiero popolare e liberale italiano: Luigi Sturzo.
La Petizione, presentata dal Comitato organizzatore del Movimento Federalista Europeo e da Altiero Spinelli, venne firmata anche da Sturzo, oltre che da Benedetto Croce, Piero Calamandrei e da tante personalità del mondo liberale. La firma del fondatore del Partito Popolare è importante, non essendo Sturzo minimamente sospettabile di filo socialismo ed essendo un anti fascista della prima ora almeno quanto Spinelli, Rossi e Colorni. Per questa ragione, penso sia utile presentare brevemente quale fosse l’idea sturziana di Europa.
Nel 1928, durante il lungo esilio – a causa del suo radicale anti fascismo, il prete di Caltagirone ha trascorso ventidue anni in esilio, sedici dei quali in Gran Bretagna e sei negli Stati Uniti –, Sturzo pubblicava La comunità internazionale e il diritto di guerra, auspicando legami istituzionali tra le nazioni per realizzare l’internazionalismo senza guerra. Nel 1934, in un articolo pubblicato sul “New Britain”, intitolato: L’Austria e l’Inghilterra, sottolineava “un’urgente necessità”, riferendosi a «un’etica superiore […] che [avrebbe portato] l’Europa lontano dalla persecuzione, dalla barbarie basata sulla razza e dall’eliminazione dei partiti politici eterodossi». Nel 1948 Sturzo pubblicava La federazione europea, descrivendo tale ordine politico come «un’idea formata nel subconscio della nostra civiltà cristiana dalla caduta dell’impero romano».
In breve, la proposta di Sturzo riguardava innanzitutto l’organizzazione di un forte e coerente assetto istituzionale democratico e liberale interno ai singoli Stati, con governi che avessero il potere di difendere la nazione dalle rivoluzioni illiberali e anti democratiche, fomentate internamente o esternamente, in secondo luogo l’abbandono della mentalità nazionalista, l’istituzione di una federazione europea soggetta a vincoli morali e politici e, infine, un’unione economica “efficiente, e quindi graduale”.
In termini istituzionali, l’esule popolare proponeva la creazione di un’assemblea parlamentare europea, composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali dei paesi membri. Sturzo sottolineava come la strada verso un’assemblea più inclusiva passasse per la rappresentanza parlamentare, piuttosto che per quella governativa, lasciando ogni paese libero di scegliere il proprio processo per la selezione dei suoi rappresentanti al parlamento europeo. L’argomentazione era originale e ispirata al più classico dei meccanismi di cheks and balances, tipico del liberalismo classico, e al principio di diarchia, da sempre al cuore della teoria politica sturziana, in quanto i rappresentanti europei sarebbero potuti essere esponenti dei partiti di minoranza dei parlamenti nazionali, con la possibilità di sostenere politiche sovranazionali non in linea con le agende dei governi nazionali, realizzando in tal modo, almeno potenzialmente, il doppio livello di sovranità su basi diarchiche.
Così Sturzo riconosceva “i limiti degli accordi governativi”, a causa della loro incapacità di “connettere le persone con una politica e un’economia comuni” e, a partire da questa prospettiva, nel 1950 si unì al Comitato che propose la Petizione per la stipula di un Patto Federale per l’Europa, uno dei manifesti europei più significativi, pubblicato proprio il 30 marzo di settantacinque anni fa.
Ed ecco la proposta che Sturzo sottoscrisse e che rappresenterà il punto di arrivo del suo federalismo europeista:
La Federazione Europea significa una soluzione comune ai problemi dei paesi associati e il rispetto delle tradizioni e dell’indipendenza degli Stati membri per quanto riguarda i loro interessi particolari: un Parlamento europeo eletto a suffragio universale da tutti i cittadini, un governo europeo dotato degli strumenti necessari nei suoi poteri costituzionali per dirigere le politiche nazionali; un tribunale europeo in difesa dell’uguaglianza e della libertà del popolo; una politica estera, difensiva, economica e monetaria comune.
Come si può notare, affermando il principio della diarchia tra autorità federale e stati membri, Sturzo non teorizzava un federalismo del big state, un Leviatano globale che finirebbe per assorbire il potere dei tanti Leviatani nazionali; si noti come la Petizione riconosca il “rispetto delle tradizioni e dell’indipendenza degli Stati membri per quanto riguarda i loro interessi particolari”. D’altro canto, Sturzo non sembrava neppure accontentarsi di una comunità internazionale che sia la risultante di un’associazione di Stati sovrani: un patto di collaborazione tra Stati più forti ed altri più deboli, dove i primi attraggono i secondi e questi ultimi si sottomettono all’idea di essere satelliti di superpotenze che esercitano un potere egemonico, all’interno di confinate aree di influenza.
Per raggiungere un simile obiettivo, irriducibile alla mera ingegneria istituzionale, l’esule popolare proponeva di mettere in discussione la spina dorsale che tiene in piedi lo Stato, la sua stessa ragion d’essere: la nozione di sovranità: assoluta, autonoma, autodeterminata, non derivata, indivisibile, superiorem non recognoscens. In nome di tale revisione concettuale, Sturzo registrava una nuova tendenza che, invece di far perno sull’autonomia degli Stati, avrebbe fatto leva sul principio di interdipendenza; è il principio che “corregge” e “limita” il perno che fonda lo Stato.
Per interdipendenza Sturzo non intendeva un mero coordinamento tra Stati, una tipologia di relazione internazionale che compenserebbe gli inevitabili rapporti di subordinazione.
Ecco come Sturzo sintetizzava il processo per mezzo del quale la nozione di sovranità avrebbe iniziato a subire un’autentica mutazione genetica, al punto che è lecito interrogarsi su quanto sia corretto continuare a chiamarla tale: «I bisogni più sentiti nel corso del secolo XIX sono stati quelli economici e sociali che venivano a porsi sopra il vasto terreno delle comunicazioni e degli interessi generali; onde la necessità, sentita dagli stati, di vincolarsi con trattati, cercare di stabilire norme generali, creare unioni od organi, aventi determinate funzioni tecniche. Sorsero così l’Unione postale universale (1874-78), l’unione telegrafica internazionale (1865), l’Unione internazionale delle amministrazioni ferroviarie (1890, 1908, 1924), l’ufficio internazionale per la salute pubblica (1907), le varie convenzioni per i porti marittimi (1923), per le automobili (1909), per il traffico aereo (1919)».
I trattati citati da Sturzo delineano un metodo di disarticolazione funzionale della nozione di sovranità e sembrano anticipare il metodo della “cooperazione strutturata”, con la quale, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, i padri fondatori diedero inizio al processo di integrazione europea. La disarticolazione prevede l’individuazione di una serie di funzioni che non fanno più capo alla sovranità statuale, bensì ad autorità che rispondono a istituzioni comunitarie. La particolarità di tale approccio, successivamente adottato da Jean Monnet e reso pubblico nella Dichiarazione Schuman del 9 maggio del 1950, risiede nella decisione dei singoli Stati di trasferire funzioni di sovranità non a uno Stato consolidato, bensì a favore di un processo, evidenziando, in tal modo, un “paradigma” del “processo”, inteso come autorità in via di formazione.
Sturzo riteneva che l’unico modo per mettere fuori legge la guerra fosse lavorare ad un assetto istituzionale domestico ispirato ai principi liberali e popolari, dove nessuna forma sociale possa avanzare la pretesa di essere posta gerarchicamente al di sopra delle altre. È questo il tratto caratteristico di quel principio di plurarchia in cui i nuclei sociali non sono meri corpi intermedi, cinghia di trasmissione tra l’individuo e la politica, ma “enti concorrenti” che contribuiscono al bene comune, adottando il metodo di libertà: la discussione critica su questioni di interesse comune. Nessuna pace, che non sia l’ennesima tregua, sarà mai possibili fino a quando la guerra non sarà messa fuori legge da un ordine sovranazionale, espressione e proiezione di un ordine interno plurarchico, democratico e liberale, basato sul principio personalista dell’inviolabilità della persona umana: libera e responsabile.
Un ordine che sia tale e che superi l’attuale ordine statuale presume come principio ordinatore la sussidiarietà che prende forma dalla realtà degli “enti concorrenti”, in continuità con il processo d’integrazione europea fin qui svolto; per usare le parole di Sturzo possiamo affermare che «l’organizzazione internazionale nella quale sia eliminata la guerra, è per i popoli, moralmente e materialmente, la meno onerosa per dirimere le vertenze; è la più vantaggiosa per ridurre su un piano razionale le tendenze egemoniche e dominatrici di un popolo sull’altro e per attenuarne la portata»