L’incremento dell’aliquota della cedolare secca sugli affitti rischia di avere effetti gravi sull’economia italiana, in generale, e sul ceto medio, in particolare. A dirlo Lettera150, il think tank costituito da oltre 300 accademici, in un appello al Governo perché non inserisca nella delega fiscale in discussione in Parlamento anche la revisione della cedolare.
“L’imposizione fiscale sulla casa è già oggi in Italia superiore alla media dei Paesi Ocse: 6.1% contro una media Ocse del 5.5%”, scrivono gli esperti, “ed è quasi il triplo di altri Paesi europei come Svezia (2.2%) e Germania (2.7%). Ma non solo.
L’investimento in beni immobili è attualmente più tassato degli equivalenti investimenti in beni mobili: un appartamento a Milano di 100 mq., con un valore di mercato stimato dalla Agenzia delle Entrate di 391.800 euro, un valore catastale attuale di 142.900 euro, paga di Imu 1629 euro. Investendo 391.800 euro in un deposito regolamentato, si paga di imposta di bollo soltanto 784 euro, la casa paga dunque il 108% in più. I proprietari immobiliari”, prosegue l’associazione presieduta dal giurista Giuseppe Valditara, ” non sono ricchi speculatori: il 94% ha un reddito compreso tra 0–55 mila euro. Circa il 23% ha un reddito non superiore a 10.000 euro; quasi il 45% ha un reddito compreso tra 10–26 mila; il 26% si colloca nella fascia 26–55 mila. Solo il 6% dei contribuenti proprietari immobiliari ha un reddito superiore a 55 mila euro”. Gli investimenti sugli immobili, tra l’altro, sono sempre più rischiosi: “aumentata morosità, blocco degli sfratti, oscillazioni di mercato, ridotta competitività rispetto agli investimenti mobiliari. Aumentare la cedolare significherebbe dunque”, dice il think tank, “andare a colpire chi ha lavorato e investito in un immobile come alternativa al risparmio in banca. Proprio quel ceto piccolo e medio che regge l’economia del Paese e che in questi anni ha più sofferto per la crisi”.