Guido Biscontini
già Prof. ord. Dir. civ. in UNICAM
Sebbene l’Unione europea segua principi liberali e solo in minima misura sia sensibile a principi dirigistici, non si deve cedere alla tentazione di considerare la concorrenza ed il mercato i suoi valori fondanti legittimando, in nome della libera concorrenza, manovre fortemente speculative che, qualora dovessero superare determinati limiti, potrebbero assumere pure rilevanza penale. Si consideri che la Cassazione penale del 16 ottobre 2020, n. 36929 si è pronunziata relativamente alla rilevanza penale di manovre speculative sul prezzo delle mascherine in piena emergenza COVID -19 decidendo che l’operatore commerciale che abbia la possibilità, attraverso la sua condotta, di incidere sul mercato in maniera tale da determinare un generale rincaro dei prezzi incorre nel reato di cui all’art. 501-bis c.p. che richiede, come evento, la possibile rarefazione o rincaro sul mercato interno delle merci oggetto della condotta dell’agente. Secondo tale sentenza l’effetto di tale comportamento commerciale si deve riverberare, quantomeno, su una fetta significativa del relativo mercato sì da influenzare il comportamento di altri operatori, integrando una situazione di pericolo e di possibile nocumento per l’economia pubblica in generale.
La tutela dell’economia pubblica rileva pure in sede comunitaria visto che l’art. 86 prevede che per combattere i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, può istituire una Procura europea. Anche in attuazione di tale disposizione è stata emanata la Direttiva (UE) 2017/1371, recepita da tutti gli Stati membri vincolati dalla stessa entro aprile 2021, ove nel considerando n. 1 si legge che “La tutela degli interessi finanziari dell’Unione riguarda non solo la gestione degli stanziamenti di bilancio, ma si estende a qualsiasi misura che incida o che minacci di incidere negativamente sul suo patrimonio e su quello degli Stati membri, nella misura in cui è di interesse per le politiche dell’Unione”. Di qui la possibilità che un intervento per controllare il prezzo dei prodotti energetici possa rappresentare l’indice rivelatore di un comportamento abusivo che potrebbe integrare un reato comunitario a carico di chi ha pregiudicato il corretto e trasparente funzionamento del mercato, riconducibile alla categoria dei beni giuridici sovranazionali; ciò sarebbe testimoniato dai penetranti interventi posti in essere a livello europeo pure in tema di insider trading e di riciclaggio, interventi che troverebbero la loro base giuridica nei fondamentali principi della libera circolazione dei capitali e delle persone e che attengono alla realizzazione di un mercato unico.
Ad ogni buon conto, volendo prescindere dalla rilevanza penale delle eventuali condotte idonee ad arrecare danno all’economia pubblica e privata a causa di un aumento ingiustificato dei prezzi di beni di prima necessità, il problema energetico rischia di divenire la causa primaria di una crisi economica e sociale dalle proporzioni impensabili e che difficilmente potranno essere risolti, sempre che sia possibile giuridicamente, dai singoli Stati creando problemi ancora più seri in Italia che non è in grado di sopportare continui scostamenti di bilancio, visto anche il suo notevole debito pubblico.
In tale contesto, un intervento finanziario europeo, pure con proprie poste di bilancio, volto a calmierare il prezzo dei prodotti energetici giustificato dall’eccezionalità degli eventi bellici consentirebbe pure di limitare manovre speculative non sempre giustificate dalla scarsità del prodotto o dall’incremento della domanda. In tale prospettiva va visto con favore pure il tentativo di fissare il c.d. price cap per cercare di raffreddare il continuo aumento del loro prezzo, iniziato già prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Invero, si è in presenza di una forte speculazione, visto che sebbene il prezzo del gas acquistato nel mercato internazionale per rifornire quello italiano sia di molto inferiore a quello indicizzato ad Amsterdam, il costo al consumatore risulta particolarmente elevato venendo rapportato alla borsa olandese, generandosi per tali compagnie forti extraprofitti giustificati, giova ribadirlo, dal fatto che il prezzo della materia prima all’importazione è inferiore a quello che viene scaricato in bolletta: in uno stato liberale dove esiste un mercato controllato non si dovrebbe verificare l’attuale situazione perché l’agenzia ARERA, svolgendo proprio attività di regolazione e controllo, tra l’altro, nei settori dell’energia elettrica, del gas naturale, dovrebbe intervenire preventivamente per evitare la creazione di extraprofitti quale conseguenza di un abuso di mercato. In tale situazione sarebbe auspicabile che il prezzo medio dei prodotti energetici avesse quale punto di riferimento non la borsa di Amsterdam, bensì il costo medio degli approvvigionamenti europei che sarebbero maggiormente convenienti qualora fossero effettuati in comune da parte degli stati membri dell’Unione Europea, al fine di ottenere con i venditori prezzi più convenienti visto il grandissimo volume acquistato, evitando altresì la sua segmentazione nazionale come avviene al momento.
Già la pandemia di Covid-19 ha posto in evidenza l’inadeguatezza dei tradizionali procedimenti a disposizione delle istituzioni europee, soprattutto a causa delle lungaggini e delle vischiosità dell’iter procedurale ordinario che non si conciliano con la necessità di reagire prontamente a situazioni di emergenza che possono interessare tutti i settori economici e sociali. Ciò dovrebbe indurre ad una riflessione immediata sulla necessità di predisporre una regolamentazione delle emergenze che, prendendo forma al di fuori delle particolari situazioni di urgenza, possa essere frutto di valutazioni ponderate.
Da più parti si reclama un intervento europeo per calmierare il prezzo del gas e, più in generale, dei prezzi dei prodotti energetici anche disaccoppiandolo da quello dell’energia elettrica che in minima parte viene realizzato con tale materia prima. Invero, pare che l’Unione Europea non dovrebbe agire a seguito delle sollecitazioni di singoli Stati che incontrano ostilità da parte di altri Stati che lucrano proprio da detti aumenti, poiché l’intervento dovrebbe avvenire su sua iniziativa, rispettando il Trattato istitutivo dell’unione medesima. Non varrebbe obiettare che siffatto intervento contrasterebbe con i principi liberali che l’ispirano perché, da un lato, essi non sono stati assunti in una concezione “religiosa” e, dall’altro, devono essere coordinati con il primato della persona e con l’utilità sociale dell’iniziativa economica che non può muoversi in una prospettiva di solo profitto. Se così non fosse si avrebbe un sistema comunitario in contrasto con la vigente costituzione italiana che all’art. 41 cost., dopo avere affermato che l’iniziativa economica è libera, al terzo comma prevede controlli affinché possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. L’utilità sociale è criterio interpretativo ed attuativo di una libertà economica che si svolge nel rispetto dei valori personalistici e solidaristici fatti propri pure dalla Carta istitutiva dell’Unione dando luogo ad un indissolubile vincolo tra politica ed economia. Il principio solidaristico è stato poi riaffermato dalla Carta di Nizza che prevede l’inviolabilità della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà che condiziona l’interpretazione dell’art 16 della Carta di diritti fondamentali dell’Unione europea che riconosce la libertà d’impresa, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali la cui valenza va letta alla luce del relativo preambolo in cui si legge che “l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà”.
L’attenzione verso i valori sociali è stata rafforzata con il Trattato di Lisbona del 2007 che, modificando l’art. 2 TUE nell’attuale art. 3, li ha posti al centro dell’azione dell’Unione, ma, soprattutto, attribuendo alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza)lo stesso valore giuridico dei Trattati, sicché entrano a pieno titolo nell’Unione europea numerosi diritti sociali, contribuendo a superarne una visione essenzialmente mercantile. Conseguentemente, se è vero che il singolo Stato e l’Unione non devono intervenire sistematicamente per riequilibrare il mercato, come suggerito dalla teoria keynesiana, possono e devono intervenire per correggerlo garantendone l’efficiente funzionamento.
La concorrenza, soltanto di regola, costituisce lo strumento più adeguato per perseguire gli scopi di giustizia sociale connessi al libero scambio di beni e servizi, posto che soltanto il mercato aperto e in libera concorrenza amplia le possibilità di scelta dei consumatori e costringe gli imprenditori ad aumentare la qualità e ad abbassarne i prezzi. Qualora sussista, però, una distorsione del mercato o questo non consenta più la realizzazione dei diritti sociali o, peggio ancora, rappresenti un’insidia per l’economia dell’Unione e/o di singoli Stati sarà necessario un intervento comunitario, un intervento pubblico per fissare, come nel caso dei prodotti energetici, un prezzo di scambio massimo o, meglio, per calmierare il prezzo di acquisto qualora fosse ingiustificato ed essenzialmente speculativo. In tal caso l’intervento pubblico trova giustificazione nell’art. 3 TUE che, al comma 3, pone principi fondamentali tra i quali “lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale” e “la solidarietà tra gli Stati membri”. Queste finalità, espressione dei principi propri dell’economia sociale di mercato, impongono un intervento per garantire la stabilità dei prezzi, specialmente per quei prodotti che sono essenziali per uno sviluppo sostenibile dell’Europa e per assicurare un’economia sociale e non egoistica all’interno dell’Unione. Ne discende che le risorse per calmierare i prezzi dei prodotti energetici devono essere comunitarie, sì da scongiurare pregiudizi irreversibili dovuti ad una causa emergenziale dalla quale sono derivate politiche economiche altamente speculative.
A ben vedere, sebbene il sistema europeo proibisca alle banche centrali degli Stati membri e alla BCE di finanziare il fabbisogno del settore pubblico, è pur vero che la disciplina comunitaria nel suo insieme consente una politica economica molto più attenta agli aspetti sociali e di sistema proprio perché l’art. 3, comma 3, del Trattato sull’Unione Europea, come detto, delinea per quest’ultima una economia sociale di mercato. La riscoperta del ruolo pubblico in economia, per fare fronte ad eventi imprevedibili e straordinari di enorme impatto sulle vite dei cittadini e delle imprese, si è già verificata con gli acquisti da parte della BCE, iniziati nel 2012, nell’ambito del programma denominato outright monetary transactions a seguito della gravissima crisi finanziaria del 2009 grazie ai quali quest’ultima ha acquistato vari tipi di titoli sui mercati finanziari allo scopo di ridurre il costo del debito per cittadini, imprese e Stati. Tale intervento non dovrebbe essere considerato eccezionale vista la comunicazione dell’8 marzo 2022della Commissione Europea, riferita al programma REpowerEU, in cui si legge che “è possibile ricorrere a meccanismi di regolamentazione e trasferimento dei prezzi che contribuiscano a proteggere i consumatori e la nostra economia” e che “il quadro giuridico del mercato dell’energia elettrica, consente agli stati membri, alla luce delle attuali circostanze eccezionali, di fissare prezzi al dettaglio per le famiglie e le microimprese”: di qui la possibilità di superare detta limitazione consentendone l’estensione anche al mercato del gas per brevi periodi e qualora sussistano conclamate situazioni emergenziali. Del resto anche l’art. 52 della Carta dei diritti e delle libertà fondamentali dell’Unione prevede che la stabilità finanziaria può costituire una finalità di interesse generale invocabile al fine di imporre limiti a diritti e libertà salvaguardati dalla Carta medesima nella misura in cui il suo perseguimento costituisca la precondizione per lo sviluppo della personalità umana e del necessario connesso esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali.
In un momento emergenziale è necessario anche “forzare” il sistema comunitario per ricercare soluzioni immediate idonee a fare fronte a situazioni inaspettate e per creare procedure agili da utilizzare in presenza di future imprevedibili necessità. La società post-industriale non prefigura, come dato ineluttabile, una comunità universale unificata e retta dalle sole leggi economiche del mercato proprio perché dopo Mastricht si è dato vita ad un sistema maturo che deve essere governato, guidato, sorretto e controllato al fine di coniugare l’efficienza economica con l’utilità sociale propria dell’iniziativa economica. Il sistema italo-comunitario, configura un mercato regolato, corretto, ispirato alla leale concorrenza ed evidenzia la necessità di tracciare le direttive di un ordine pubblico “economico” finalizzato alla tutela di interessi sociali e collettivi evitando scambi idonei a pregiudicare l’ordinato svolgimento dei rapporti patrimoniali in danno di interessi generali, quali il diritto all’accesso a beni e servizi a condizioni contrattuali eque, anche in assenza di precise disposizioni di legge.