Una guerra in Europa: situazione e prospettive

Domenico Rossi
Generale di Corpo D’Armata
Consigliere del Ministro della Difesa
Già Sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito

Premessa

Il 24 febbraio 2022 truppe della Federazione Russa hanno invaso il territorio della Repubblica Ucraina in aperta violazione del diritto internazionale. Vladimir Putin ha volutamente minimizzato l’invasione appellandola come   “Operazione speciale militare”, anche  per non riconoscere di fatto  l’Ucraina nella sua veste di Stato Sovrano con confini definiti e riconosciuti internazionalmente.

La guerra in questione, perché senza alcun dubbio di guerra si tratta, ha le sue radici in una lunga crisi diplomatica e militare  nata con la rivoluzione  popolare ucraina del 2014, conclusasi il 23 febbraio con la fuga a Sebastopoli di Viktor Janukovyč , la sua esautorazione e con  il conseguente passaggio da un esecutivo filo russo a uno filo occidentale.

Il 28 febbraio 2014 infatti Putin, influenzato negativamente anche da una atavica “sindrome di accerchiamento”, fa invadere la Crimea che viene poi annessa alla Russia. Inoltre, poiché i due Oblast di Donetsk e Lugansk dichiarano la propria autonomia dall’Ucraina fornisce loro un deciso sostegno sotto forma di armi e di personale “volontario”, in un conflitto che assume man mano connotazioni di guerra civile.

Nelle settimane precedenti l’invasione del 2022, alla ricerca di un plausibile pretesto, Vladimir Putin si è più volte spinto a dichiarare che nella regione del Donbass la popolazione russofona era vittima di una discriminazione simile al genocidio. Accusa che non ha però trovato conferme da parte delle Organizzazioni internazionali. L’invasione avviene peraltro dopo i   due tentativi di accordo effettuati con i protocolli di Minsk, falliti in quanto nel tempo disattesi da entrambe le parti. Di particolare valenza il secondo che, anche per la garanzia offerta da terze potenze , doveva essere il fondamento per la definizione negoziale della situazione.

Fermo restando infine che non appaiono dubbi circa l’identità dell’aggressore e dell’aggredito una ultima annotazione, spesso dimenticata ma che rende ancor più colpevole la Russia, riguarda il fatto di non avere rispettato   il Memorandum di Budapest del dicembre 1994.

Un memorandum con cui l’Ucraina, aderendo al trattato di non proliferazione nucleare col protocollo di Lisbona del 23 Maggio 1992, ufficializzò la consegna delle armi nucleari presenti sul territorio dopo lo scioglimento dell’URSS alla Russia. In cambio, con la firma di tale memorandum infatti l’Ucraina ottenne assicurazioni ,ora non rispettate, da parte della Russia circa la propria sicurezza, indipendenza e integrità territoriale.

La situazione operativa

Il 24 febbraio la Federazione Russa invade l’Ucraina con modalità operativamente poco comprensibili, stante un attacco condotto lungo un confine di più di 1500 km di territorio, senza una effettiva gravitazione con le truppe e con il fuoco sull’obiettivo principale.  Unica ipotesi derivante è che l’offensiva russa non fosse volta unicamente ad assicurare il controllo di Mosca sulle regioni contese dell’Ucraina orientale ma che l’intendimento primario, al di là della presunta denazificazione del Paese, fosse quello di sostituire il legittimo governo del Presidente Zelensky con un governo fantoccio al fine di riportare l’Ucraina all’interno della sfera d’influenza russa.

Ad est e a sud si assiste fin da subito ad una significativa conquista territoriale ma le forze russe, stante anche la evidente dispersione, non raggiungono l’obiettivo principale ovvero non riescono ad arrivare a Kiev e a “conquistare i palazzi del potere”. Il Presidente Zelenski ha così il tempo di chiamare a raccolta la popolazione e le Forze Armate nella difesa non solo del territorio ma soprattutto della riacquistata libertà e democrazia.

Le operazioni trovano specie a Nord una fortissima opposizione per la resistenza delle forze Ucraine che sfruttano alla meglio la conoscenza del territorio e sono forti di addestramento e grande motivazione. Nel frattempo l’Europa e gli USA si mobilitano e iniziano a inviare armamenti. In questa fase la fanno da padrone i missili controcarro Javelin, i missili antiaerei a bassa quota stinger e i droni turchi.

I russi contestualmente dimostrano grandi carenze sia nel coordinamento e controllo delle unità sia nella efficienza della catena logistica con grandi colonne ferme sia per effetto del terreno sia per la mancanza di rifornimenti.

Le evidenze dimostrano che l’attacco è portato addirittura con soldati di leva cui fino all’ultimo è stata prospettata una esercitazione e non la crudele realtà di un conflitto.

Dopo alcuni mesi constatata l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi iniziali i russi cambiano strategia e anche sotto la spinta della controffensiva ucraina ritirano le loro forze a Nord ovvero dai dintorni di Kiev e le spostano sul fianco est e a sud. Contestualmente dichiarano per la prima volta che l’obiettivo reale è costituito dalla sola conquista del Donbass ovvero dall’annessione alla Russia della Crimea e delle due Repubbliche autoproclamatesi indipendenti. Inizia pertanto il massimo sforzo per l’annessione del Donbass, che porta alla conquista di una vasta fascia di terreno da est verso ovest , comprensiva di  Mariupol e Kherson e delle possibili basi navali sul Mar Nero.

Ad ottobre dopo aver annunciato una controffensiva a sud verso Kherson gli Ucraini attaccano invece ad est e riconquistano una buona parte del territorio occupato dalle truppe russe che, anche per meglio contrapporsi allo sforzo ucraino, si ritirano da Kherson.

Da quel momento i due avversari si fronteggiano in gran parte del territorio divisi dal grande ostacolo naturale costituito dal fiume Dniepr in quella che sembra essere sempre più una guerra di logoramento. I Russi sembrano quasi voler consolidare una linea di difesa solida e duratura nei territori che ha occupato, al fine di scongiurare ulteriori successi delle forze armate ucraine, forse cercando di “congelare” la guerra durante l’inverno per preparare le sue forze ad una nuova offensiva primaverile.

Peraltro, al momento i combattimenti maggiori riguardano la cittadina di Bakhmut che se conquistata potrebbe rappresentare il perno su cui poggiarsi per lanciare l’offensiva verso Krematorsk e Luhansk, la cui conquista è indispensabile per il controllo di tutto il Donbass. In ogni caso la presa di Blackmut, anche se sposta verso Nord la linea difensiva ucraina, non sarebbe di per sé di alta rilevanza strategica ma costituirebbe più che altro una vittoria volutamente da propagandare nell’opinione pubblica russa dopo mesi di insuccessi.

Nell’impossibilità di procedere sul terreno la Federazione Russa ha dato luogo negli ultimi mesi ad una grande e indiscriminata campagna di logoramento con tutte le fonti di fuoco disponibili e in particolare missili e droni. Un volume di fuoco incredibile, che sta mettendo a dura prova tutta l’Ucraina, volto alla sistematica distruzione di centri di comunicazione, centri logistici, centrali elettriche, infrastrutture industriali senza remore rispetto alla elevata probabilità, come avvenuto, di colpire finanche scuole, centri commerciali e ospedali.

Duplice lo scopo: incidere sulla possibilità di rifornimento delle truppe ovvero sulla loro capacità operativa e fiaccare la popolazione dinanzi non solo al pericolo costante e improvviso ma anche alla mancanza di acqua e di riscaldamento nel lungo periodo invernale.

È da notare che proprio per la resistenza ucraina Putin è stato costretto a una mobilitazione parziale richiamando circa 300.000 persone che avevano svolto il servizio di leva. Persone che per ora non hanno inciso sui combattimenti ma potrebbero essere sostanziali in primavera/estate dovendo prima essere addestrate mediamente per 5/6 mesi. Ciò fermo restando che anche se le forze ucraine hanno subito meno perdite è pur vero che si sono senz’altro logorate sotto il massiccio volume di fuoco che ogni giorno viene riversato contro di loro.

A ottobre nei territori occupati del Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhia viene istituito un referendum, che senza controllo e con evidenti imposizioni si trasforma di fatto in un plebiscito, per l’annessione delle quattro regioni alla Federazione Russa.

Putin in un lungo discorso pronunciato dalla stessa sala dove otto anni prima, aveva proclamato il passaggio della Crimea dall’Ucraina alla Russia, ha evidenziato il risultato come derivante da una chiara indicazione della volontà di autodeterminazione delle popolazioni locali.

Appare comunque difficile dare delle valutazioni precise anche sulla reale situazione sul terreno perché sussiste una guerra nella guerra, quella dell’informazione. Un’arma invisibile ed efficace, con effetti altamente significativi, utilizzata da entrambe le parti come strumento di attivismo politico e propaganda. Alle operazioni militari si stanno affiancando infatti vere e proprie campagne di disinformazione e inganno che influiscono direttamente sul campo di battaglia e sulla popolazione interna ed esterna, tenuto anche conto che il consenso si ottiene costruendo una narrazione conforme alle aspettative dell’opinione pubblica.

Le reazioni alla minaccia

La guerra in Ucraina, ha evocato scenari che nessuno considerava potessero riproporsi dopo la disgregazione dell’URSS riportando in primo piano le questioni strategiche in Europa. Ne è derivato il rilancio della funzione storica della NATO come Alleanza difensiva, come derivante dai dettami del noto Art. 5 che impegna tutti i Paesi ad intervenire in caso di aggressione ad uno degli Stati Membri.

Una Alleanza che anziché incrinarsi, come forse negli auspici di Putin, si sta addirittura rafforzando con la richiesta di entrarne a far parte di Finlandia e Svezia. Paesi che, pur se neutrali da più di 70 anni, dopo l’attacco a uno stato sovrano come l’Ucraina hanno realisticamente percepito il rischio di essere vittime dell’aggressività russa.

Quale altro risvolto negativo per la Russia, l’invasione ha impresso una svolta significativa alla Difesa europea. È stata infatti stabilita, superando ataviche divergenze, la creazione di una forza europea di 5.000 uomini schierabile in tempi rapidi, completa nei suoi assetti ed è stata definita la relativa catena di comando. Così come sono state decise pragmatiche linee di condotta per un effettivo utilizzo della forza in questione tenuto conto che l’impiego reale è sempre stato un problema poiché gli scenari possono dare luogo a valutazioni diverse tra gli Stati membri dell’Ue, con Paesi più o meno restii a ricorrere allo strumento militare. Ovviamente una forza militare europea non sostitutiva della NATO ma complementare e necessaria per dare effettiva valenza geopolitica all’Europa.

Oltre a compattare i Paesi sulla necessità di una difesa europea, l’invasione ha anche riportato al centro degli approfondimenti l’aumento dei bilanci militari europei e l’obiettivo del due per cento del PIL per il bilancio della Difesa è stato nuovamente approvato da tutti i Paesi membri.

Inoltre sono stati varati vari pacchetti di sanzioni non solo per colpire la capacità bellica ma in senso generale per incidere su soggetti specifici e su vari aspetti dell’economia russa e in estrema sintesi per isolare la Russia limitando/vietando sia l’import che l’export.

Costante nel tempo l’invio di armi, anche da parte dell’Italia, a sostegno delle possibilità di difesa ucraina. Appare inutile soffermarsi sul tipo e sulle loro potenzialità, oggetto di diverse discussioni politiche, in quanto un’arma non è classificabile in offensiva o difensiva, ma diventa tale in funzione dell’impiego. Merita però sottolineare come sicuramente senza le armi occidentali la lotta sarebbe stata impari e si sarebbe già arrivati ad un tavolo diverso da quello negoziale: quello che si instaura al momento della resa tra un vinto e un vincitore.   

Prospettive

Pur nella variabilità delle dichiarazioni che sono intercorse in questo anno di conflitto si può ipotizzare che gli obiettivi della Russia siano sostanzialmente riferibili a due aspetti.

Il legittimo riconoscimento dell’annessione al suo territorio della Crimea, delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk nonché delle neo annesse   regioni di Kherson e di Zaporizhzhia, con la giustificazione di volere garantire la sicurezza della popolazione russofona di tali territori.

La trasformazione dell’Ucraina in uno Stato neutrale o cuscinetto, che non faccia quindi parte né della NATO né della Unione Europea, al fine di garantire maggiormente la sua sicurezza. Una zona “cuscinetto” che nella sua massima estensione potrebbe prevedere una Ucraina divisa in due parti est e ovest, lungo il corso del Dnieper, a similitudine di quanto a suo tempo accaduto per la Germania.

Da parte Ucraina costante è, per contro, la rivendicazione del possesso del territorio ucraino come definito dai confini del 2014 nonché della possibilità di ingresso nella Nato e nella Unione Europea per conseguire   garanzie di sicurezza internazionali. A riguardo merita sottolineare che la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha commentato l’annessione russa delle citate quattro Regioni con le seguenti parole: “Tutti i territori occupati illegalmente dagli invasori russi sono terra ucraina e faranno sempre parte di questa nazione sovrana”.

In sintesi, è chiaro che i due temi dominanti in un’ottica negoziale sono: la questione territoriale e le reciproche garanzie di sicurezza. Così come è evidente che nessuna soluzione diplomatica al conflitto è possibile senza che una parte o l’altra ceda sulla questione territoriale.

Al momento, i negoziati per la pace sono ancora lontani perché sia la Russia che l’Ucraina si sentono abbastanza forti per non volersi fermare. Entrambi puntano a sedersi al tavolo delle trattative nella parte del vincitore in pectore.

Occorre comunque considerare che pur se la Federazione Russa dispone ancora di un forte potenziale sia umano (da mobilitare) sia tecnico militare (specie strategico/nucleare), evidenti sono taluni segni di debolezza. Dalla superiorità tecnologica dei sistemi d’arma occidentali alla insufficienza dimostrata dalla intelligence russa ad esempio nella controffensiva ucraina.

Peraltro quanto può considerarsi sostenibile nel tempo una guerra che dissangua l’Ucraina e svuota gli arsenali occidentali?

L’ostacolo maggiore ad una negoziazione potrebbe comunque essere rappresentato non tanto dall’apparente inconciliabilità degli obiettivi da raggiungere quanto dal prevalere di una logica della guerra a oltranza sopra ogni altra considerazione.

In questo contesto, l’unica soluzione alternativa ad una guerra lunga e di attrito è che i due contendenti vengano “portati” ad un tavolo negoziale da nazioni terze e garanti, capaci anche di “influenzare” le decisioni finali dei due contendenti. Paesi terzi che appaiono individuabili sicuramente negli Stati Uniti e nella Cina. La Cina anche perché si è di fatto sostituita all’Europa nell’acquisto del gas russo ed è quindi divenuta per la Russia non solo un alleato politico ma anche un partner economico fondamentale che può per questo e non solo per questo esercitare nei confronti della stessa una evidente pressione. Gli Stati Uniti perché l’Ucraina, al di là del sostegno europeo, non può reggere lo sforzo bellico senza i continui sostanziali aiuti americani.

 L’Europa è ben lungi ancora dall’acquisire un ruolo unitario geopolitico capace di incidere sulla soluzione ma può essere determinante nello spingere verso la direzione negoziale sia gli USA che la Cina per evidenti influenze di carattere economico commerciale verso entrambi i Paesi.

In questa ottica il piano di pace presentato recentemente dalla Cina, assolutamente teorico e improntato a principi generali e senza alcuna vera soluzione circa la situazione in atto, ancorchè bocciato quasi immediatamente dagli Stati Uniti deve comunque considerarsi  un primo tentativo nella sopra indicata ottica.

Sicuramente peraltro nessuna proposta di accordo potrà essere concretamente realizzata senza elevare lo sguardo verso obiettivi di lungo termine ovvero verso un nuovo sistema di sicurezza europeo che contempli le esigenze sia occidentali sia della Russia.

Una possibile soluzione/alternativa alle reciproche garanzie di sicurezza occidentali potrebbe essere quella di schierare in Ucraina una forza d’interposizione internazionale su mandato delle Nazioni Unite. Forze di pace ben armate che consentirebbero di ottenere la deterrenza senza l’eccessiva militarizzazione dell’Ucraina e senza che il paese aderisca formalmente alla Nato.

C’è infine da evidenziare come in ogni caso Putin sembra disinteressarsi dell’isolamento internazionale che resterà un fatto sostanziale al di là del destino delle sanzioni, puntando presumibilmente alla leadership di quello che sembra essere un nuovo   antagonismo mondiale: quello di democrazie contro non-democrazie. Una possibile situazione che inciderà profondamente sul futuro di organizzazioni globali come ONU, UNESCO, WHO, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale o come l’OCSE.

La fine della guerra e il superamento degli effetti immediati della crisi potrebbero infine paradossalmente portare a una Unione Europea più coesa con una maggiore indipendenza energetica e più efficiente cooperazione interna, militare ed economica, con benefici per tutti i Paesi membri, ivi compresa l’Italia.

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