Raffaele Fiume
Ordinario di Economia Aziendale
Università degli Studi di Napoli Parthenope
Sta montando in Italia la protesta degli studenti contro il caro affitti che rende difficile la vita degli studenti fuori sede nelle città universitarie.
La protesta è stata immediatamente cavalcata dai partiti di opposizione, come se non fossero stati al governo fino a pochi mesi fa o come se non fossero stati protagonisti delle scelte del PNRR, che l’attuale governo sta solo attuando, con poche possibilità di modifica. “I prezzi inaccessibili minano il diritto allo studio alla radice”, ha dichiarato Schlein.
Per altro verso, la maggioranza ha puntato il dito contro i sindaci, prevalentemente di centrosinistra, responsabili delle politiche abitative nei loro comuni.
Come, ahime’, accade spesso nel nostro Paese, la polemica politica rischia di allontanare dall’individuazione delle soluzioni ai bisogni espressi dai cittadini, soluzioni che devono essere concrete e, soprattutto, praticabili.
Bisogna partire da alcuni dati di fondo.
La mobilità degli studenti è un elemento chiave della coesione della comunità nazionale, uno strumento fondamentale per l’attivazione dell’ascensore sociale, un prezioso stimolo alla positiva competizione tra atenei, che ispira l’evoluzione del sistema universitario negli ultimi decenni.
Ma da qui a far assurgere il caro-affitti per gli studenti a problema centrale del sistema formativo nazionale la strada è lunga.
Non bisogna mai dimenticare che i Padri costituenti hanno voluto, con l’art.34, riservare l’intervento della Repubblica ai soli “capaci e meritevoli” e non a tutti gli studenti.
Inoltre, non tutte le “mobilità” possono essere guardate allo stesso modo. Lo stivale è disseminato di atenei, da Bolzano a Enna. Una cosa è la difficoltà di raggiungere da un paese dell’entroterra, una cosa la scelta di andare a studiare lontano da casa, pur avendo un’università vicino casa. Quanto lo Stato deve farsi carico di questa seconda tipologia di mobilità? E quanto questo “diritto alla scelta” è prioritario rispetto agli asili nido, alla disoccupazione, al caro bollette o alla mancanza di infrastrutture?
A ben vedere, il tema si inquadra nel più ampio problema del “caro affitti” che investe tutti i residenti: studenti, lavoratori, pensionati, disoccupati.
Riguarda le politiche abitative, la mobilità urbana e interurbana, la localizzazione fisica dei plessi didattici universitari. Si tratta, in gran parte, di temi di stretta competenza comunale o delle città metropolitane.
La protesta è partita da Milano, dove Hines ha costruito studentati costosissimi e dove si è investito in piste ciclabili, laddove una più robusta mobilità metropolitana consentirebbe agilmente tanto agli studenti quanto agli altri cittadini di vivere nell’hinterland. Discorso analogo potrebbe essere fatto per la città di Roma, che è vastissima.
Il pendolarismo è un fenomeno normalmente riconoscibile in tutte le grandi città di Europa. Incentivandolo, sostenendolo opportunamente si allenta la pressione sui centri città, si offrono migliori qualità di vita ai cittadini, si riducono i prezzi degli affitti mercè la riduzione della domanda.
Ma non chiamiamolo diritto allo studio.
Vi sono città che le cui università sono un polo di attrazione. Un esempio è Milano con una popolazione di circa 200mila studenti. Una città come Modena o Prato. Vogliamo dare un alloggio ai meritevoli fuori sede? Supponiamo 10mila studenti. Una camera deve essere di 13m2 più servizi. Arrotondiamo a 20. Dobbiamo costruire 200mila m2. Su una base di 500m2 e 10 piani sono 40 torri da edificare. Solo per una frazione degli studenti. Ha molto più senso rendere efficace i trasporti. Vedere la soluzione in termini di città metropolitana. Chi ha studiato all’estero nelle grandi città sa che una condizione normale per lo studente è il commuting