Prof. Luciano De Giorgio
Docente di Filosofia e Scienze Umane
Dopo anni di discussione l’Autonomia Differenziata è legge. Si tratta di un grande cambiamento che porta ad inserire in nuovi orizzonti di senso idee, conoscenze, competenze e prospettive, attraverso paradigmi innovativi che tengano conto delle singole realtà socio-economiche.
L’autonomia differenziata non ha l’obiettivo di dividere l’Italia – come molti vogliono far credere – ma quello di creare le condizioni, affinché tutte le regioni possano operare al meglio. E’ importante, infatti, comprendere che l’autonomia non è secessione (retaggi del passato), ma responsabilizzazione: ogni regione, e conseguentemente ogni amministratore, risponderà direttamente di ciò che è stato fatto o di ciò che non è stato fatto e tutto questo porterà inevitabilmente ad una maggiore efficienza all’interno dei vari territori con conseguenti ricadute positive su tutto il Paese.
Facendo riferimento a Durkheim, è importante far propria la corrente di pensiero sociologica – il funzionalismo – caratterizzata dalla tendenza a concepire la società come un organismo o sistema, cioè un complesso di parti interdipendenti, ciascuna descrivibile in base alla funzione che assolve all’interno della totalità.
La scuola non può non tener conto di questo cambiamento e pertanto deve fare in modo che le studentesse e gli studenti siano educati a questa nuova modalità di vedere e di gestire il territorio, perché diventino veri cittadini attivi.
Come? Attraverso l’insegnamento di Antropologia e Pedagogia del territorio. Le categorie concettuali tipiche di queste due discipline, rientranti nell’ambito delle Scienze Umane, consentirebbero un’attenta analisi delle singole realtà attraverso un approccio interdisciplinare, per giungere alla rilevazione di punti di forza e di debolezza sui cui lavorare.
Perché l’insegnamento dell’antropologia viene associato a quello della pedagogia? Perché la bellezza dei vari territori risiede proprio nelle diversità socio-culturali, caratterizzate da fattori climatici, storici, dominazioni e modi di sentire. Nessuna realtà è migliore o peggiore di un’altra; esse necessitano solo di una diversa gestione che tenga conto delle singole particolarità (che costituiscono la vera ricchezza dell’Italia).
Alla Pedagogia del Territorio deve essere affidato, invece, il compito di teorizzare l’educazione. La scuola deve educare al pensiero critico, al fine di portare le studentesse e gli studenti a riflettere sulle convinzioni che, consapevolmente o inconsapevolmente, guidano e condizionano le scelte, le azioni e le relazioni della quotidianità. Ma perché si possa giungere alla criticità è necessario che ci sia anche una educazione informata capace di fornire dati rigorosi e oggettivi su fenomeni e situazioni.
Si deve costruire un nuovo paradigma di pensiero che, partendo da una rinnovata epistemologia, giunga ad elaborare un nuovo orizzonte etico. È importante ricordare, però, che una nuova disposizione culturale non può essere ridotta ad un semplice passaggio tecnico da un paradigma ad un altro, dal momento che i nuovi strumenti di pensiero dischiuderanno un nuovo orizzonte culturale solo se saranno supportati da un diverso orientamento – sia della postura cognitiva, sia della postura affettiva – capace di muovere il soggetto verso l’esser-ci-nel-mondo -.
Sarebbe opportuno, a mio avviso, inserire questa disciplina soprattutto nel nuovo percorso liceale del Made in Italy e nel Liceo economico-Sociale.
Non si dimentichi quanto affermato dalla grande antropologa Margaret Mead:
“Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi ed impegnati possa cambiare il mondo”.