Dino Cofrancesco (Professore emerito-Università di Genova)
Nel recente saggio “L’incanto del mondo. Un’introduzione al pluralismo” (Ed. Meltemi), il filosofo del diritto Mauro Barberis–un profondo conoscitore del liberalismo ottocentesco e autore di importanti studi che si collocano tra la filosofia morale, il diritto, la storia e la politica—ha scritto che :”la maggioranza detta ‘America profonda”, raccolta attorno al Partito repubblicano spesso formata da autentici psicolabili che però ignorano di esserlo, si riconosce in Trump, altro psicopatico che si ritiene normale”. Considerando che il libro è destinato anche (se non soprattutto) agli allievi del suo corso di ‘Teoria del diritto in ambito filosofico’ e che le parole citate si trovano nel capitolo V, “Pluralismo”, ci si chiede se Barberis sia sempre consapevole del fatto che la divisione tra i giudizi di fatto e i giudizi di valore—alla base del pluralismo conoscitivo, che registra appunto i fatti—debba precedere ogni discorso sul tema in questione. Si possono avere tutte le riserve possibili su Donald Trump e la maggioranza degli americani che lo ha votato ma il dovere dello studioso non è quello di riaprire i manicomi a chi non la pensa come lui bensì quello di capire quali valori, bisogni, interessi abbiano inciso su quel voto. Sine ira ac studio, come dicevano gli antichi. Nella celebre lectio, “La scienza come professione” (1918), Max Weber aveva scritto:” Nell’aula, ove si sta seduti di faccia ai propri ascoltatori, a questi tocca tacere e al maestro parlare, e reputo una mancanza del senso di responsabilità approfittare di questa circostanza — per cui gli studenti sono obbligati dal programma di studi a frequentare il corso di un professore dove nessuno può intervenire a controbatterlo–per inculcare negli ascoltatori le proprie opinioni politiche invece di recare loro giovamento, come il dovere impone, con le proprie conoscenze e le proprie esperienze scientifiche. ”.Non si possono buttare lì, en passant, opinioni politiche , in privato più che legittime, come se fossero verità autoevidenti. Gli allievi di Barberis debbono leggere gli articoli di Federico Rampini per capire il ‘trumpismo’ e le ragioni del suo successo? Chi vuole studiare seriamente il fascismo non lo farà, certo, leggendo “Mussolini il capobanda” (2022) di Aldo Cazzullo ma l’imponente opera di Renzo De Felice su Mussolini. Analogamente non sono i furtivi, provocatori, cenni di Barberis a liquidare Trump e quello che ha rappresentato e rappresenta per l’America d’oggi.
ALLE ORIGINI DI UNO STILE
Alle origini di questo stile di pensiero’, c’è un fraintendimento—incomprensibile in uno studioso che da anni legge gli scritti di Berlin– di ciò che significa ’pluralismo’. Nel nostro paese, questo termine, rinvia a valori buoni—quelli della tradizione liberale e democratica—che talora possono confliggere e che dovrebbero, pro bono pacis, trovare un qualche bargaining. Contro la faciloneria di chi mette insieme tutte le cose buone, Norberto Bobbio aveva fatto rilevare in Presente e avvenire dei diritti dell’uomo ne “L’età dei diritti” (Ed. Einaudi, Torino 1990): “Quando dico che i diritti dell’uomo costituiscono una categoria eterogenea, mi riferisco al fatto che, dal momento che sono stati considerati come diritti dell’uomo anche i diritti sociali, oltre ai diritti di libertà, la categoria nel suo complesso contiene diritti tra loro incompatibili, cioè diritti la cui protezione non può essere accordata senza che venga ristretta o soppressa la protezione di altri. Si fantastichi pure sulla società insieme libera e giusta, in cui siano globalmente e contemporaneamente attuati i diritti di libertà e i diritti sociali; le società reali, che abbiamo dinanzi agli occhi, nella misura in cui sono più libere sono meno giuste e nella misura in cui sono più giuste sono meno libere. Tanto per intenderci, chiamo ‘libertà’ i diritti che sono garantiti quando lo stato non interviene, e ‘potere’ quei diritti che richiedono un intervento dello stato per la loro attuazione. Ebbene: spesso libertà e poteri non sono, come si crede, complementari, bensì incompatibili. Per fare un esempio banale, l’aumentato potere di acquistare l’automobile ha diminuito sin quasi a paralizzarla la libertà di circolazione. Un esempio un po’ meno banale: l’estensione del diritto sociale di andare a scuola sino a quattordici anni ha soppresso in Italia la libertà di scegliere un tipo di scuola piuttosto che un’altra. Ma forse non c’è bisogno di fare esempi: la società storica in cui viviamo, caratterizzata dalla sempre maggiore organizzazione per l’efficienza, è una società in cui acquistiamo ogni giorno un pezzo di potere in cambio di una fetta di libertà. Questa distinzione tra due tipi di diritti umani, la cui attuazione totale e contemporanea è impossibile, è consacrata, del resto, dal fatto che anche sul piano teorico si trovano di fronte e si contrastano due concezioni diverse dei diritti dell’uomo, la concezione liberale e quella socialista”.
LA LEZIONE DI BOBBIO
Parole da meditare quelle di Bobbio—” le società reali, che abbiamo dinanzi agli occhi, nella misura in cui sono più libere sono meno giuste e nella misura in cui sono più giuste sono meno libere”–. specie se si considera che il filosofo rimase sempre legato alla political culture di ‘Giustizia e Libertà’ e agli ideali di Carlo Rosselli e del Partito d’Azione che a lui si ispirava. L’onestà intellettuale gli precludeva facili sintesi ma non di vedere nella libertà e nell’ eguaglianza i valori più alti del nostro tempo. Sennonché, per chi abbia meditato a fondo la lezione di Isaiah Berlin, al di là del conflitto tra libertà ed eguaglianza, ve n’è uno che si riferisce a valori che la cultura politica—si direbbe ‘l’ideologia italiana’—non riconosce come tali. Per citarne qualcuno: l’Autorità, la Nazione, la Tradizione, la Fede, la Famiglia etc.
IL PLURALISTA DIMEZZATO
Il pluralista dimezzato prende in considerazione solo l’area dei valori buoni: i due citati e quelli che contrappongono dimensioni sociali ed etiche talora in guerra—Antigone e Creonte, la Morale e il Diritto, il Mercato e lo Stato—valori presenti in ogni società civile. Il pluralista imparziale– lettore dei magistrali studi di Berlin sul romanticismo politico, su Herder, su Hamann, sui tradizionalisti francesi, studi, peraltro, che inducevano Bobbio a mettere in discussione la qualifica di liberale data al suo pensiero– al contrario, sa che “anche se ne aborriamo le teorie, consideriamo Torquemada, Giovanni di Leida o Stalin–inquisitori e sterminatori– non semplicemente come agenti umani di questo o quel grado di importanza nel causare cambiamenti storici, ma come esseri umani a cui riconosciamo un valore morale (e politico) positivo, in virtù della sincerità e comprensibilità dei loro motivi” (v. Berlin Isaiah, “Tra filosofia e storia delle idee. La società pluralistica e i suoi nemici”, Intervista auto-biografica e filosofica, Ed. Ponte alle Grazie,1994). Per il pluralista dimezzato, Autorità Tradizione, Radici, Destino sono la spazzatura della storia. E’ il vaglio della ragione che decide cosa (quel poco) del passato può essere conservato. Immanuel Kant, nello scritto Che cos’è Illuminismo del 1784, aveva decretato: “L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità, che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. Questo è il motto dell’Illuminismo.” Ciò significava che quanto di irrazionale i secoli avevano depositato nella società e nelle istituzioni doveva venir senz’altro rimosso. Sennonchè tutti i fini umani fanno riferimento a valori che sono un’eredità non una acquisizione: quelli che riguardano la comunità non sono universalizzabili–ovvero condivisi da tutti in virtù della loro razionalità– ma non per questo sono meno ‘valori’. Come scriveva ancora Berlin,” Tutti i fini sono fini. Il fatto è che non sono mai riuscito a capire la nozione di un fine razionale|… la nozione di un fine razionale| di cui parlano tutti—uno scopo razionale è un concetto filosofico ben noto: esisteva già ai tempi di Platone è per me incomprensibile. Penso che i fini siano semplicemente fini. La gente cerca di ottenere quello che vuole ottenere. Naturalmente non una varietà infinita di fini, ma un numero limitato”. Pensando alle categorie classiche Gemeinschat/Gesellschaft (Comunità/Società) mirabil-mente fissate da Ferdinand Toennies, si può dire che il pluralista dimezzato vede valori solo nella Gesellschaft e ricaccia tra le deità infernali tutto ciò che ha a che fare con la Gemeinschaft. E poiché il punto di approdo della comunità è ritenuto universalmente—ma discutibilmente– il fascismo (sono le radici che portano al Lager) tutto ciò che ne proviene diventa una figurazione—sempre diversa nel tempo—del Male. Se si obietta che anche il razionalismo illuministico degenerato in ingegneria sociale porta al Gulag, la risposta è che il secondo processo nasce da un ‘errore fatale’ mentre la degenerazione della comunità ne rappresenta un esito naturale.
INTENDERE I MOVIMENTI TOTALITARI
Non è casuale che, nel nostro paese, l’area culturale più vicina al neo-illuminismo sia quella meno attrezzata intellettualmente per intendere il fascismo e, in genere, i movimenti totalitari. Non li vede come vini andati a male ovvero vini tramutati in aceto per colpa di classi dirigenti liberali incapaci di cogliere i bisogni di sicurezza e di identità dei popoli, per colpa di assetti internazionali di potere che non facevano spazio, crollati i grandi imperi nel 1918 ,alle autodeterminazioni nazionali, per colpa di un’intellighèntzia desiderosa di mettersi a capo della riforma morale e intellettuale dei connazionali (riforma che il liberale Benedetto Croce demolì in un memorabile passo delle “Pagine sulla guerra” mostrandone le potenzialità illiberali): li vede come malattie mortali, che minacciano la fine del genere umano. Per la cultura che, si richiama al pluralismo senza intenderne a fondo lo spirito, il problema è quello delle masse “psicolabili che, però, ignorano di esserlo” e si riconoscono in psicopatici che si ritengono normali, per citare Barberis. La rebelión de las masas (ma non nel senso del grande Josè Ortega u Gasset il cui libro è più citato–per il titolo–che letto) è il passe-partout che consente di comprendere tutto ciò che, in qualche modo, viene collocato al fuori della ‘società aperta’, nazionalisti e populisti, postfascisti e vannacciani, tradizionalisti politici e fonda-mentalisti religiosi, meloniani e salviniani. Il neo-illuminismo, insomma, fa di tutte le erbe ed erbacce un solo fascio: non è questa la lezione del grande Isaiah Berlin.