Domenico Rossi, Generale, già Sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito
Con l’avvento della Presidenza Trump si è assistito in breve tempo a un cambio di strategia nei confronti di vari aspetti di interesse geopolitico.
Trump si è subito posto l’obiettivo di un creare un nuovo e migliore rapporto con la Russia soprattutto per dividerne gli stretti attuali legami con la Cina, considerato come il maggiore avversario nella sfida globale strategica e commerciale. A tale scopo alla fine di febbraio a Riad funzionari statunitensi e russi si sono incontrati formalmente per discutere del ripristino delle relazioni diplomatiche, anche se è plausibile si sia trattata la questione del conflitto con l’Ucraina, con una voluta esclusione dal tavolo di rappresentanti ucraini ed europei.
Quasi contestualmente si è registrata la richiesta del Presidente Trump all’Ucraina di un accordo sullo sfruttamento dei giacimenti di “terre rare” presenti nel territorio, motivato come compensazione delle spese sostenute dagli Stati Uniti per gli aiuti finora erogati.
L’Europa è stata altresì duramente richiamata in vari momenti ad impegnarsi maggiormente nella propria Difesa ovvero ad aumentare la percentuale di risorse a questo dedicata,anche per diminuire in conseguenza le spese dell’attuale “protezione” americana.
Il mondo ha pertanto guardato con ansia ma anche con positività all’incontro programmato tra il Presidente Trump e il Presidente Zelensky all’inizio di marzo proprio per la definizione dell’accordo sopra citato. Si è invece assistito ad uno scontro senza precedenti in diretta di due Capi di Stato che, invece di portare a una ratifica e alla conseguente continuazione del supporto americano, ha causato la temporanea rottura dei rapporti e il successivo annuncio americano della interruzione degli aiuti militari e dei contributi di intelligence. Una rottura manifestatasi pubblicamente anche con l’accusa all’Ucraina di non volere la pace e di non avere ringraziato esplicitamente gli Stati Uniti per il supporto fornito.
Con il passare dei giorni la posizione ucraina è progressivamente cambiata. Ciò presumibilmente per effetto di una situazione militare insostenibile, pur con il supporto europeo, soprattutto nell’ottica di un totale disimpegno americano e soprattutto della immediata interruzione dei contributi di intelligence, essenziali per conoscere e contrastare i movimenti ovvero le azioni di vario tipo russe.
L’11 marzo si è così arrivati ad un incontro tra rappresentanti ucraini e americani sempre in Arabia Saudita dove gli ucraini hanno espresso la disponibilità ad accettare la proposta americana di una tregua immediata di 30 giorni su tutta la linea del fronte, a condizione che altrettanto venisse condiviso dalla Russia. L’intesa non si riferirebbe solo al cessate il fuoco ma anche ad altri aspetti come scambio di prigionieri di guerra, liberazione di civili detenuti e ritorno dei bambini ucraini allontanati dalle loro famiglie. L’obiettivo della tregua è quello di utilizzare il periodo per definire il percorso verso una pace giusta e duratura. In tale ambito è stato anche preso l’impegno a concludere quanto prima un’intesa sulle terre rare/minerali critici, rinunciando di fatto a legarlo strettamente a un sostegno diretto futuro della NATO e/o dell’alleato atlantico in funzione anti-russa. Una rinuncia importante, che costituisce di fatto l’accettazione di quanto espresso dal Segretario di Stato americano. Marco Rubio ha affermato infatti come tale accordo “non lo presenterei come una garanzia di sicurezza, ma certamente, se gli Stati Uniti hanno un interesse economico che genera entrate per il nostro popolo e per quello ucraino, avremmo interesse a proteggerlo”. È comunque da rilevare che diversi importanti giacimenti si trovano proprio nelle zone del Donetsk e del Luhansk conquistate e reclamate dalla Russia.
Il vantaggio degli ucraini a firmare la tregua è comunque la dimostrazione della presa di coscienza che, dopo tre anni di guerra, vi è l’impossibilità di una prospettiva di vittoria sul campo di battaglia e che l’unica soluzione possibile per porre fine al conflitto è quella di portare la Russia ad un tavolo negoziale mirando ad un accordo che soprattutto ne tuteli la sicurezza futura, con la garanzi europea e americana.
Il 13 marzo proprio per riferire sugli esiti dell’incontro con l’Ucraina l’inviato del Presidente Trump Witkoff si è recato a Mosca per incontrare il Presidente Putin. Quest’ultimo nel pomeriggio in una conferenza stampa ha offerto la sua disponibilità ad esaminare positivamente una tregua, precisando peraltro che il cessate il fuoco «dovrebbe essere tale da portare ad una pace a lungo termine e affrontare le cause di fondo del conflitto» e di avere ancora bisogno di consultazioni con gli Stati Uniti e auspicabilmente direttamente con il Presidente Trump, che da parte sua ha parimenti ipotizzato favorevolmente tale incontro. Ovviamente ciò lascia intravedere la necessità di esaminare sia problemi di sicurezza globale sia la questione territoriale ove peraltro le posizioni appaiono lontanissime se non inconciliabili, anche perché Putin ha sempre ribadito il concetto che l’Ucraina debba ritirarsi completamente dalle quattro regioni ucraine annesse dalla Russia: Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Ciò indipendentemente dal reale controllo sulle stesse al momento della negoziazione.
Le interpretazioni da dare alle dichiarazioni del Presidente Putin possono pertanto essere positive o negative, tenuto anche conto del riferimento in detta conferenza a problemi pratici relativi al controllo e quindi alle eventuali violazioni del cessate il fuoco di difficile immediata applicazione. Le reali intenzioni si chiariranno nei prossimi giorni.
L’Europa ha preso atto, anche nell’ipotesi di un accordo di pace, dell’urgenza di attrezzarsi per una propria difesa perché non vi possono essere dubbi che la minaccia russa per come si è manifestata sul territorio europeo è consistente e reale. Vale pertanto e oggi ancor di più il motto latino “si vis pacem, para bellum”, specie considerando il possibile minore impegno americano sul suolo europeo. Per questo il Parlamento europeo ha approvato il 12 marzo a tal fine due risoluzioni di cui la prima “accoglie con favore il piano ReArm Europe” e sostiene il Libro bianco sulla Difesa e con la seconda si precisa “incrollabile sostegno dell’Ue all’Ucraina, dopo tre anni di guerra di aggressione della Russia”. In quest’ultima risoluzione è passato anche un emendamento che “accoglie con favore la dichiarazione congiunta dell’Ucraina e degli Stati Uniti a seguito del loro incontro nel Regno dell’Arabia Saudita dell’11 marzo 2025”.
Prossimamente verranno approfonditi e messi a punto gli strumenti finanziari necessari per far fronte alla carenza di capacità in settori vitali che non riguardano solo gli armamenti perché nulla è stato realisticamente sviluppato nel senso di una difesa europea a partire dalla unitarietà di comando e controllo, allo sviluppo di sistemi d’arma comuni, a una gestione oculata della capacità produttiva nel settore, alla difesa di infrastrutture critiche e dello spazio. Il Governo ha già portato avanti proposte chiare in termini europei ovvero alternative reali per non gravare con le spese sulle risorse destinabili alla coesione sociale.
In sintesi, una situazione in rapida evoluzione dove si può solo sperare un punto di caduta finale positivo ma che deriva anche dal fatto che il mondo è sicuramente in un periodo di ricomposizione geopolitica – geoeconomica. Il vecchio equilibrio che sanciva una chiara divisione del mondo tra due, Stati Uniti e Unione Sovietica, oggi è decisivamente variato con più paesi, in primis la Cina, poi India e Turchia e nuove realtà, in grado di sostituire potenze ormai decadute.
Il Presidente Trump in questo scacchiere in rapido movimento si sta ponendo comunque con la sua azione al centro del mondo geopolitico, pur mirando a salvaguardare in modo prioritario gli interessi specifici americani.