Adriano Fabris, Professore Ordinario di Filosofia Morale all’Università di Pisa
Ci stiamo avvicinando alla Pasqua. Per i cristiani è, insieme al Natale, la festa più importante: quella che celebra la resurrezione del Figlio di Dio che è morto per i nostri peccati ma poi ha sconfitto la morte. Per chi ha un approccio laico alla vita sembra invece che questa festa non dica granché. Ha ancora meno appeal del Natale, che ormai, quantomeno, è occasione di shopping. Al massimo, per chi ne è goloso, può essere un’occasione per mangiare cioccolato.
Le cose, in realtà, possono anche non essere viste in questo modo. Soprattutto se pensiamo che quanto fa parte di una tradizione ha sempre qualcosa da dire a tutti coloro che di questa tradizione sono eredi. Quanto fa parte di una tradizione rende infatti consapevoli di ciò che caratterizza una comunità. In altre parole: fa capire meglio chi siamo.
Quale significato può avere la Pasqua per tutti, anche per chi non crede? A ben vedere, ne può avere più di uno. È anzitutto la celebrazione di un risveglio, di una ripresa, di un nuovo inizio. È il contrario del blocco, della rassegnazione, della paura di ricominciare che tante volte ci paralizza. Dice che non è vero che non ci sono più prospettive. Afferma invece che tutto può essere rimesso in gioco.
È insito qui, in questa possibilità di riprendersi e di ricominciare, anche un modo ben preciso d’intendere il tempo. Il tempo che conosciamo oggi è soprattutto quello dell’istante, un istante che cerchiamo di riempire di emozioni sempre nuove. Ma l’istante blocca il risveglio: non ci fa andare oltre, ci tiene in uno stato di ipnosi. Pensiamo a tanti nostri ragazzi con lo sguardo fisso sul loro smartphone. In effetti non c’è solo l’istante. L’istante, come dice la parola stessa, è il tempo di chi sta in un determinato punto (in-stans). Invece il nostro tempo, il tempo umano, è anche e soprattutto quello del futuro, della progettualità, della speranza. La Pasqua ci dice questo.
Ma ci dice anche altre cose. Nella tradizione cristiana chi risorge è il Figlio di Dio. È il Dio che si è fatto carne. La resurrezione, la ripresa di cui parlo, è non solo quella dello spirito, ma soprattutto è quella che investe l’essere umano nella sua concretezza: nel suo corpo, nella sua sensibilità, nella sua esistenza pienamente intesa.
Ciò è importante tanto più oggi, in un’epoca in cui molto spesso viviamo le nostre esperienze in maniera disincarnata. Sono le tecnologie, di cui facciamo uso costante, che sostituiscono la realtà con un’immagine della realtà stessa. Ma tutto ciò, alla fine, contribuisce alla costruzione di un mondo illusorio, di un bozzolo da cui prima o poi ci troviamo costretti a uscire. E dunque l’apertura di un tempo nuovo, il superamento dei problemi e delle difficoltà che ci bloccano – ciò di cui la Pasqua è simbolo – non è qualcosa che ci riguarda solo virtualmente. Ci coinvolge in tutto quello che siamo. Concerne la nostra vita nei suoi vari aspetti.
Il terzo motivo per cui possiamo parlare della Pasqua anche al di là di una prospettiva cristiana è che la Pasqua significa la sconfitta della morte. Sembra un discorso strano. Oggi, anzi, di morte si parla poco. Si preferisce non pensarci. Oppure ci si consola credendo di poterla tenere sotto controllo, per quanto possibile, attraverso prevenzione e medicine. Ma prima o poi la morte arriva. Ed è questo ciò che cerchiamo di dimenticare.
Il punto, però, non è solo questo. Domandiamoci: se parliamo della morte, parliamo davvero della fine di tutto, comunque intesa? Al di là di una prospettiva religiosa, non c’è proprio possibilità di aprirci a un futuro, anche quando non ci saremo più? Certo, questo futuro non sarà certamente il nostro, ma sarà, magari, quello dei nostri figli e dei figli dei nostri figli. Sarà il lascito di quel che abbiamo realizzato nella nostra vita. Sarà il ricordo che le nostre azioni hanno determinato. Anche questo è oltre la morte. Sono modi in cui continueremo a essere anche quando non ci saremo più. Sono modi in cui la morte perde la sua definitività.
Ecco dunque alcuni spunti che fanno sì che la Pasqua possa essere considerata un evento che non riguarda solamente i cristiani. È una festa che può dire qualcosa a tutti: anche a chi non crede. Ci dice che, a dispetto di quell’indifferenza e di quell’apatia da cui spesso la mentalità comune è attraversata, ripartire e andare avanti è sempre possibile. C’è sempre un oltre. C’è sempre tanto per cui impegnarsi ancora.