Plurimae leges, corruptissima res publica. Con impareggiabile sintesi, Tacito aveva individuato plasticamente un male, la sua origine, la conseguenza, ed implicitamente il rimedio.
Il proliferare di leggi era visto quale frutto di una gestione della pubblica amministrazione intesa a tutelare se stessa, i propri appartenenti ed a favorirne la corruzione.
Non diversamente, ai giorni nostri, l’eccesso di burocrazia costituisce tanto per il cittadino comune che per il professionista o l’imprenditore un frapposto non agevolmente superabile sia nella risoluzione di banali esigenze di vita piuttosto che nella gestione ed organizzazione della propria attività.
Il susseguirsi di norme, regolamenti, circolari, disposizioni attuative tutte incidenti sulla medesima materia, non di rado – anche solo apparentemente – contraddittorie tra di loro, ne rendono l’osservanza e la corretta applicazione un’impresa tanto complessa quanto rischiosa perché il minimo errore comporta conseguenze negative di diversa ed natura impattanti non esclusivamente sulla validità dell’azione intrapresa.
L’apparato amministrativo, a sua volta, con la inevitabile e conseguente proliferazione di “uffici competenti” impiegati e/o dirigenti addetti comporta ulteriori complessità legate alla individuazione del funzionario di riferimento per il disbrigo di una singola pratica.
Una macchina dello Stato così congegnata ed alimentata da una superfetazione normativa – spesso oscura e sciatta – che porta con sé crescenti difficoltà interpretative ed applicative diventa, allora, il brodo di coltura ideale della corruzione, l’habitat perfetto per il dipendente pubblico disponibile a soccorrere chi si trovi impotente al cospetto di un inestricabile insieme di adempimenti necessari per raggiungere il proprio scopo.
La corruzione, per altro verso, è vista come un problema endemico, una emergenza permanente il cui contrasto è affidato a sanzioni penali sempre più severe in uno con la creazione di nuove ipotesi di reato.
Si tratta, invero, di una di quelle emergenze cui lo Stato dovrebbe provvedere individuandone le cause per adottare gli strumenti idonei a scongiurarla, piuttosto che riguardarne gli effetti per reprimerla, essendo – del resto – il sistema penale sussidiario ad altre forme di controllo sociale.
Riconoscendo al diritto punitivo una primazia nel contrasto alla corruzione, spesso e spesso a sproposito si è richiamata l’opportunità del ricorso alla cosiddetta “tolleranza zero” poiché in Italia il termine ha finito con l’assumere un significato diverso da quello inteso dalla teoria originale proprio per l’uso demagogico che ne è stato fatto, sebbene si debba riconoscere che si tratta di una pratica politica che nella sua effettiva consistenza può dare risultati interessanti.
La teoria richiamata è quella della cosiddetta “finestra rotta”, secondo la quale, in sintesi, se ci si abitua a vedere, appunto, una finestra rotta invarrà la consuetudine a vedere altre cose deperire e degradare senza reazione alcuna.
Riparando la finestra si offre un segnale di ripristino dell’ordine e ciò integra un richiamo della gente alla legalità; la politica della tolleranza zero, di conseguenza ed al contrario di quanto lascia intendere il termine, non è la pratica del pugno di ferro e delle maniere brutali, bensì un modello di governo intransigente verso le trasgressioni minori come il mancato pagamento del biglietto dell’autobus o il divieto di fumare in determinati luoghi: l’abitudine alla legalità unitamente al presidio portano a ridurre rapidamente la microcriminalità ma anche i reati più gravi.
Certamente si tratta di una strategia di ordine pubblico che per conseguire risultati durevoli richiede impegni di risorse umane e finanziarie notevoli e contemporanea attenzione alle cause della devianza che devono essere curate oppure individuate esattamente per porvi rimedio, eliminandole.
La politica, nel filtrare gli umori della piazza, ha viceversa sin qui ritenuto che una risposta attesa ed adeguata alle esigenze rappresentate possa consistere nella maggiore severità delle pene.
Dalla teoria, sebbene con opportune modulazioni, possono tuttavia trarsi spunti per una sistema di prevenzione efficace.
In tale ottica, il contrasto alla corruzione passa attraverso una preliminare opera di snellimento dell’apparato burocratico, di semplificazione delle procedure conseguendo con un’unica azione un triplice risultato: agevolazione del cittadino, recupero di efficienza della Pubblica Amministrazione, marginalizzazione di fenomeni di illegalità. Non da ultimo, anche il ricorso alla teoria della tolleranza zero potrebbe integrare un utile contributo al ripristino di una coscienza sociale.
Infatti i comportamenti in contrasto con il buon andamento della Pubblica Amministrazione sono largamente diffusi a livello più basso, laddove la stessa percezione di illiceità dei comportamenti è diluita proprio dalla circostanza che il “compenso” sia contenuto (e non necessariamente in denaro) e dalla considerazione di avere solo remunerato una prestazione in assenza della quale non si sarebbe stati in grado di gestire o di gestire per tempo una pratica, ottenere una licenza, una concessione, un certificato.
Proprio la c.d. corruzione per atto dovuto costituisce il primo passo verso la perdita di obiettività nei confronti di comportamenti illeciti: la disponibilità del funzionario pubblico ad agevolare il cittadino dietro corresponsione di una contenuta mercede è come quella “finestra rotta” cui nessuno pone mano a ripararla perché è diventata consuetudinaria ed, in ultimo, la stessa contrarietà di simili condotte all’ordinamento non è più percepita come tale diventando la base per un allentamento generalizzato dei vincoli morali ed il rispetto di valori che non dovrebbero essere in discussione.
Il rimedio non è l’unico, ma solo prendendo le mosse da una corposa sburocratizzazione del sistema è perfettibile una riduzione degli illeciti, non solo dei reati, contro la P.A.: si potrebbe ricorrere ad un ampliamento delle ipotesi di autocertificazione, se del caso, “assistite” nella redazione con il contributo di un tecnico o professionista di fiducia del cittadino e con il monito della perseguibilità laddove falsate: in una fase emergenziale, ne trarrebbe vantaggio anche il mondo dell’impresa
Un primo passo che, per altro verso, sgraverebbe gli uffici giudiziari dalla necessità di perseguire una miriade di illeciti minori potendosi dedicare con maggiore efficienza ed attenzione a quelli più gravi e, di conseguenza, svolgendo una funzione deterrente prima ancora che repressiva di maggiore impatto.
Lo studio attraverso la “via giudiziaria” dei crimini rilevanti contro la Amministrazione Statuale potrebbe, a sua volta, costituire uno spunto per correggere, semplificandole, normative nella cui complessa applicazione alligna il seme della corruzione innestando un circuito virtuoso di semplificazione delle procedure coniugato con l’abbassamento del tasso di illegalità.
Manuel Sarno – Avvocato in Milano