Il presente documento è stato redatto congiuntamente dal Prof. Stefano Tarullo, dal Cons. Solveig Cogliani e dalla Prof.ssa Isabella Loiodice. Esso trae origine dal confronto svoltosi in seno al Gruppo di lavoro sulla giustizia amministrativa di «Lettera 150» del quale hanno fatto parte il Prof. Stefano Tarullo che lo ha coordinato, il Cons. Solveig Cogliani, il Prof. Franco Cotana, il Prof. Edoardo Giardino, la Prof.ssa Isabella Loiodice, il Pres. Salvatore Sfrecola ed il Pres. Claudio Zucchelli. Le proposte qui illustrate impegnano esclusivamente i tre estensori, che hanno sviluppato riflessioni proprie recependo alcuni suggerimenti emersi nel Gruppo di lavoro.
Introduzione
Il concetto di «giustizia amministrativa» racchiude un insieme di garanzie ed istituti che servono ad assicurare la piena tutela del cittadino di fronte all’esercizio dei poteri che la legge conferisce alle pubbliche amministrazioni.
In tale nozione sono ricompresi rimedi di tipo giurisdizionale e rimedi di tipo giustiziale. I primi trovano esplicazione nell’ambito del processo amministrativo, sono affidati alla cognizione di veri e propri giudici (che compongono i Tribunali amministrativi regionali in primo grado ed il Consiglio di Stato in secondo grado) e sono presidiati da specifiche norme della Carta fondamentale (artt. 24, 103, 111 e 113). I secondi si sostanziano viceversa in ricorsi amministrativi, proposti cioè di fronte alle pubbliche amministrazioni, talora le medesime che adottano i provvedimenti impugnati, e sono volti a garantire genericamente la «giustizia
nell’amministrazione» (art. 100 Cost.). Questi, pur non rivestendo la stessa importanza pratica dei ricorsi giurisdizionali, sono tuttavia rimedi tutt’altro che marginali per la funzionalità complessiva del sistema, in quanto valgono a deflazionare il contenzioso giurisdizionale (soprattutto il
ricorso straordinario al Capo dello Stato) e consentono ai cittadini di ottenere giustizia celere a costi accessibili.
Negli ultimi anni, il processo amministrativo è stato sovente al centro del dibattito pubblico perché ciclicamente tacciato di essere causa di endemiche lentezze burocratiche del Paese (pensiamo al settore delle opere pubbliche).
Talora, si è persino ventilata la possibilità di smantellare la giurisdizione amministrativa per trasferirne le competenze nell’alveo della giurisdizione ordinaria.
Al di là della non agevole praticabilità di una simile soluzione, che richiederebbe delicati interventi di revisione costituzionale, l’assunto che il giudice amministrativo sia «parte del problema» di una pubblica amministrazione lenta ed inefficiente non corrisponde affatto al vero. Il giudice amministrativo è, al contrario, «parte della soluzione» al problema. Negli ultimi anni il complesso TAR-Consiglio di Stato ha dimostrato una notevole capacità nella risposta di giustizia e nell’abbattimento dell’arretrato. Come più volte rimarcato in documenti ufficiali e nelle relazioni dei vari Presidenti del Consiglio di Stato, che sono di pubblico dominio, la soluzione delle liti è stata fortemente accelerata e le pronunce cautelari vengono adottate assai rapidamente. Il giudice amministrativo si è dimostrato in grado di ripristinare la legalità dell’azione amministrativa con prontezza ed equilibrio, indirizzandone l’operato verso scelte corrette e rispettose degli interessi in controversia. Tale risultato è reso possibile anzitutto dai congegni e dagli strumenti processuali previsti nel codice del processo amministrativo del 2010 (di seguito «c.p.a.»), testo legislativo nel suo insieme assai funzionale ed ormai entrato compiutamente a regime (con alcune revisioni «in itinere») dopo un decennio di proficua applicazione giurisprudenziale; ma non secondari appaiono i meriti dei magistrati amministrativi, le cui doti di preparazione ed obiettività sono ampiamente riconosciute, e non solo a livello nazionale.
Nei fatti, in tempi recenti il processo amministrativo ha realizzato obiettivi di crescente efficienza e rapidità nella definizione delle vertenze, unitamente ad un elevato grado di qualità dei pronunciamenti, sia cautelari che di merito. Questo è un dato di fatto, certificato – come detto – anche in documenti pubblici quali le relazioni dei presidenti degli organi giurisdizionali tenute nelle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario.
Sennonché, alcuni snodi fondamentali del processo sono oggi messi in crisi dalla decretazione d’urgenza della quale a più riprese ed alquanto disorganicamente si è fatto uso durante l’emergenza pandemica da «Covid-19».
La grave situazione sanitaria che il Paese ha dovuto affrontare, se in certi casi ha determinato l’offuscamento di alcuni principi che da tempo la dottrina considerava sacri (il contraddittorio, l’oralità, la pubblicità dell’udienza), in altri casi ha additato agli operatori del Foro e della Giurisdizione nuove possibilità che in precedenza stentavano a manifestarsi; prima tra tutte la celebrazione dell’udienza telematica, che in un processo eminentemente scritto quale è quello amministrativo rappresenta una soluzione da valorizzare anche per il futuro.
Il Gruppo di lavoro sulla giustizia amministrativa di «Lettera 150», composta da professori e magistrati che quotidianamente frequentano le aule di giustizia, ha tratto spunto ed occasione dalla normativa processuale che ha contraddistinto la fase dell’emergenza epidemiologica per dibattere alcune soluzioni ritenute funzionali alla costruzione del processo amministrativo dei prossimi anni.
Prendendo spunto dalla discussione svoltasi in quella sede, gli estensori del presente documento hanno cercato di offrire alcune soluzioni alla riflessione comune dei teorici e dei pratici del diritto amministrativo, nella speranza che possano dare stimolo ad un confronto costruttivo sui principali problemi riscontrati e, se possibile, a tempestive e migliorative riforme intese a risolverli.
Resta comunque ferma, pur con alcune cautele emerse nel corso della discussione in seno al Gruppo di lavoro, la necessità di portare a compimento la sperimentazione del processo telematico da remoto avviata durante il periodo dell’emergenza, per far sì che la definizione delle cause possa avvenire con celerità, senza aggravare gli adempimenti e senza richiedere spostamenti degli avvocati né dei magistrati, riducendo i costi per le parti e per l’amministrazione della giustizia.
Parte I
Proposte per l’efficientamento del processo amministrativo
a) Riduzione del contenzioso giurisdizionale e semplificazione degli adempimenti processuali a carico del ricorrente.
Negli ultimi anni è maturata – nel dibattito tra gli addetti ai lavori – una spiccata sensibilità per l’istituto della c.d. mediazione amministrativa. Le riserve nei riguardi di tale meccanismo, motivate invocando la «non negoziabilità» del potere amministrativo, sembrano infondate: l’evoluzione dottrinale ha messo ormai in luce come la scelta e la composizione discrezionale tra interessi compresenti e configgenti ben possa avvenire con il coinvolgimento attivo del privato e sulla base di un incontro delle volontà. Lo dimostra plasticamente l’art. 11 della L. n. 241 del 1990 sugli accordi amministrativi «verticali». Inoltre, dal 2016 l’istituto della mediazione esiste in un Paese tipicamente «a diritto amministrativo» quale la Francia. Il generale orientamento dell’Unione europea è peraltro favorevole a queste forme di rimedi.
Si propone perciò l’introduzione (in un primo tempo graduale e sperimentale) della c.d. mediazione amministrativa, con l’obiettivo di deflazionare il contenzioso giurisdizionale amministrativo, al contempo riducendo i tempi ed i costi per le parti. La mediazione è un istituto elettivo di ADR (alternative dispute resolution) che appare particolarmente funzionale in quanto trova svolgimento fuori dal giudizio; essa non richiede, infatti, uno specifico impegno del giudice amministrativo in attività di conciliazione che rischierebbero di distrarlo dai compiti suoi propri (decidere le liti cautelari e di merito) e che comunque non appartengono alla sua formazione e tradizione.
L’effettiva efficacia dello strumento è legata tuttavia alla snellezza del procedimento, nonché alla certezza e celerità dei tempi di definizione. La procedura dovrebbe ispirarsi ai seguenti criteri-base: i) facoltatività e sospensione, medio tempore, del termine di ricorso al TAR; ii) non impugnabilità del documento di mediazione se non in ipotesi-limite (ad es. nei casi in cui è ammessa la revocazione della sentenza); iii) de-formalizzazione e massima celerità della procedura; iv) comprovata competenza giuridica dei mediatori (ma anche tecnica, ad es. nelle controversie edilizie o di appalto). Va valutato se affidare la procedura ad appositi organismi pubblici articolati su base regionale o a collegi di mediazione i cui componenti potrebbero essere nominati dalle parti (ed il cui presidente, in mancanza di accordo, potrebbe essere nominato dal presidente del TAR competente per territorio).
L’istituto potrebbe essere introdotto in via facoltativa nel c.p.a. quale passaggio preliminare rispetto all’accesso alla giurisdizione amministrativa e, in corso di giudizio, potrebbe essere attivato su invito del giudice (invito da rivolgere alle parti, per esempio, in seno alla «udienza-filtro» di cui sui dirà alla successiva lett. b); tutto ciò prendendo spunto dal modello nordamericano del c.d. «nudging», onde favorire una sorta di «spinta gentile» del giudice verso una nuova valutazione degli interessi in gioco. Il rimedio appare particolarmente utile in relazione ai procedimenti ad istanza di parte privata e, in queste fattispecie, potrebbe collocarsi a valle del preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis della L. n. 241 del 1990. Si è proposto in passato anche di attivarlo per i contratti pubblici quale forma di non-judicial review rispetto all’aggiudicazione. Si tratta di ipotesi da meditare con grande attenzione e senza approcci pregiudiziali, quantomeno allo scopo di avviare una seria sperimentazione del modello che consenta di verificarne l’efficacia alla prova dei fatti. Il punto fermo, in ogni caso, è che la mediazione deve restare un’attività extraprocessuale delle parti, poiché non si deve gravare il giudice amministrativo di compiti mediatori che non appartengono alla sua tradizione e che, soprattutto, finirebbero per appesantire l’iter processuale anziché semplificarlo.
Sul piano positivo, la riforma potrebbe passare per l’introduzione di un apposito Capo dedicato alla mediazione nel c.p.a. del 2010. Ne dovrebbe seguire anche la riforma del D.M. n. 55 del 2014 con l’inserimento dei compensi per i componenti degli organismi di mediazione. L’istituto, in ogni caso, dovrebbe essere depurato da tutte quelle imprecisioni che connotano la mediazione obbligatoria già utilizzata per alcune materie nel processo civile (come condizione di procedibilità dell’azione). In sede civile, infatti, è frequente che i tempi di giustizia si estendano anziché comprimersi, poiché lo strumento mediatorio viene spesso piegato al fine improprio di dilazionare la soluzione della controversia.
Una volta espletata la mediazione amministrativa, occorre affermare il principio secondo cui il ricorrente che deposita il ricorso (in primo grado e nei successivi) manifesta «in re ipsa» la volontà che esso venga fissato e definito nel merito, senza ulteriori intralci ed impedimenti procedurali. Si propone di eliminare l’onere di deposito dell’istanza di fissazione d’udienza quale adempimento necessitato in fase di deposito del ricorso a pena di perenzione annuale ed improcedibilità dell’istanza cautelare, con conseguente generalizzazione della fissazione d’ufficio entro un termine predeterminato e breve della camera di consiglio in caso di istanza cautelare o della stessa udienza di merito.
b) Partecipazione della difesa e garanzia dell’imparzialità del giudice
Occorre smantellare la c.d. «cultura del sospetto» nel rapporto tra difesa e magistrati, con l’introduzione in sede processuale di un momento per così dire «collaborativo» in vista della corretta individuazione della fattispecie sottoposta al vaglio del Collegio.
A tal fine si propone, mediante opportuna novellazione dell’art. 65 co. 1 del codice del processo amministrativo (di seguito solo «c.p.a.»), l’Introduzione di una «udienza-filtro» o «udienza preliminare», da celebrarsi di regola nella forma della camera di consiglio telematica con la partecipazione degli avvocati delle parti, caratterizzata in apertura da una sintetica relazione orale da parte del magistrato relatore. Potrebbe cioè affidarsi al relatore della causa lo svolgimento di una breve relazione riepilogativa delle questioni a suo avviso prioritarie da trattare e da esplicitare alle parti oralmente non «in presenza», ma «da remoto».
Tale passaggio preliminare permetterà di risolvere tempestivamente le questioni preliminari e pregiudiziali, poiché consentirà di verificare la completezza dei documenti necessari per la definizione della causa e la connessa eventuale necessità di ulteriori adempimenti istruttori, nonché l’integrità del contraddittorio. Si eviterà in tal modo di «intasare» inutilmente i ruoli di udienza pubblica con la fissazione di vertenze non mature per la decisione, per ragioni legate a carenze istruttorie e/o di contraddittorio. Nella citata relazione – ispirata al modello tedesco – saranno indicati sinteticamente i fatti, le difese, le richieste delle parti, la normativa applicabile e la giurisprudenza pertinente in ordine ai punti salienti della controversia.
L’«udienza-filtro», concepita quindi come momento preparatorio e cooperativo tra parti e Giudice, incarna perfettamente quella «cultura della collaborazione» che deve innervare ogni processo, ivi compreso quello
amministrativo. Grazie ad essa si renderà possibile, attraverso una sorta di discovery preliminare, mettere tutti i soggetti processuali a conoscenza di quanto è stato acquisito in termini probatori, determinando una reale e piena conoscenza della fattispecie. Tale «disvelamento» potrà allo stesso tempo prevenire eventuali azioni revocatorie, finalizzate a censurare l’erronea percezione dei fatti da parte dei giudici. Si propone conseguentemente la riforma dell’art. 65 co. 1 c.p.a.
Al fine di consentire il migliore sindacato giurisdizionale sulle controversie ed al tempo stesso l’effettiva imparzialità del giudice della cautela, si potrebbe ipotizzare di prevedere che il giudice già relatore nella fase cautelare monocratica non lo possa essere anche in quella collegiale, così da scongiurare il rischio che un eventuale errato inquadramento della controversia in sede di ultrasommaria delibazione possa compromettere anche la valutazione successiva. Si potrebbero in tal senso riformare gli artt. 55 e 56 c.p.a.
c) Monocratizzazione dei riti camerali
Occorre evitare di impegnare tutti i componenti del Collegio (tre in primo grado e cinque in appello) nei riti camerali (segnatamente silenzio, accesso e ottemperanza), che richiedono una risposta immediata da parte dei giudici alle esigenze di tutela dei cittadini che siano volte: i) alla conoscenza dei documenti amministrativi ed alla realizzazione del principio di piena trasparenza («total disclosure») sotteso all’accesso civico; ii) alla realizzazione del principio di necessaria conclusione del procedimento con provvedimento espresso e motivato della pubblica amministrazione; iii) all’effettiva attuazione giuridica e materiale dei provvedimenti giurisdizionali, momento nel quale si realizza l’interesse concreto della parte che si è rivolta alla giustizia. La monocratizzazione dei riti camerali può, soprattutto in questi ambiti, accelerare sensibilmente la
risposta di giustizia da parte del Giudice amministrativo.
Si propone dunque la riforma dei riti speciali del codice del processo amministrativo (con riforma degli artt. 112 ss., 116 e 117 c.p.a.), con chiara devoluzione degli stessi al giudice monocratico, magistrato delegato dal presidente, tendenzialmente estensore del provvedimento da eseguire per il rito dell’ottemperanza, salvo eventuale reclamo al Collegio.
d) Massima partecipazione e contraddittorio nella fase cautelare d’urgenza
Occorre assicurare l’adeguamento della disciplina processuale all’orientamento giurisprudenziale ormai consolidatosi presso il Consiglio di Stato che ammette (allorché sia allegato il pericolo concreto di irreversibile perdita di un bene della vita tutelato da norme costituzionali) l’appellabilità delle pronunce cautelari monocratiche. In tal modo si assicura tempestivamente la certezza del diritto e la piena garanzia del contraddittorio.
Si propone, dunque, di modificare l’art. 62 c.p.a. attraverso la previsione dell’appellabilità entro strettissimi termini dei decreti cautelari monocratici emessi in primo grado.
e) Riforma del rito appalti
Per quanto gli studiosi convergano largamente sull’obiettivo di assicurare la massima tempestività nella definizione dei giudizi attinenti alle procedure di affidamento dei lavori, servizi e forniture pubblici, attualmente disciplinati dagli artt. 119 e 120 c.p.a., il dibattito in corso sulla materia si presenta assai articolato.
Nel periodo dell’emergenza si è accentuato il dibattito sulla necessità di rendere snelle e veloci le procedure tese alla stipulazione dei contratti pubblici. La lentezza di siffatti procedimenti, aggravati dagli adempimenti burocratici, dalla complessità della disciplina e dalla vastità del contenzioso, si riflette in termini di inefficienza della pubblica amministrazione, come dimostrato di recente dalle drammatiche vicende che hanno interessato il settore sanitario, ma già in precedenza dal frequente blocco dei cantieri nel settore delle opere pubbliche.
L’incertezza ed il rallentamento dovuti all’aggravarsi del contenzioso in materia non solo riverbera in perdita economica per le pubbliche amministrazioni (ed in fondo per i cittadini, che sopportano gli oneri finali attraverso la fiscalità generale), ma anche per le imprese. Tali fattori, inoltre, costituiscono un significativo disincentivo per gli investitori stranieri i quali, anche per questa ragione, tendono a trovare economicamente poco attrattivo il nostro Paese.
In tempi recenti, la dottrina si è soprattutto interrogata in merito a possibili strumenti per far procedere speditamente gli appalti in materia di opere pubbliche e di forniture sanitarie nel periodo dell’emergenza e del post-
emergenza, evitando la caducazione dei contratti per mano del Giudice amministrativo e mantenendo in piedi la sola tutela del risarcimento perequivalente in capo all’impresa ricorrente vittoriosa in giudizio. In tale prospettiva è stata proposta da parte di alcuni accademici una generalizzazione dell’art. 125 c.p.a.; norma che già consente, in presenza di determinati presupposti, la conservazione del contratto di appalto pur a fronte dell’annullamento dell’aggiudicazione. Una simile impostazione, per quanto ispirata ad una comprensibile esigenza di rilancio dell’economia del Paese, non considera che il vero ritardo si accumula nella fase esecutiva degli appalti, che è sottratta alla cognizione del Giudice amministrativo. Essa, inoltre, presenta l’effetto pratico di vanificare la portata concreta della sentenza di annullamento, principale strumento a disposizione del cittadino per ottenere una tutela reale, di tipo caducatorio, nei riguardi dei provvedimenti amministrativi illegittimi; con la conseguenza che a conservare il contratto potrebbe essere in ipotesi l’impresa che non meritava di vincere la gara, la quale potrebbe avvantaggiarsi indebitamente del nuovo sistema non solo dal punto di vista economico (percependo la remunerazione per la commessa pubblica), ma anche a livello curriculare. V’è poi da osservare che la stazione appaltante rischia di pagare doppio: al corrispettivo dell’appalto versato all’impresa contraente (che mantiene questa qualifica anche se l’aggiudicazione è ritenuta illegittima) si aggiunge il risarcimento del danno all’impresa ricorrente che, secondo giustizia, avrebbe dovuto conseguire l’aggiudicazione.
Si ritiene pertanto che la soluzione alle problematiche poste non possa farsi discendere dalla riduzione delle tutele, come pure è stato autorevolmente prospettato, attraverso l’eliminazione della tutela impugnatoria e la
valorizzazione della tutela risarcitoria. Ciò significherebbe per un verso gravare la spesa pubblica attraverso il duplice esborso – in caso di decisioni illegittime – per l’esecuzione del contratto e per la corresponsione del risarcimento, ma anche privare l’ordinamento di uno strumento fondamentale di controllo giudiziario avverso l’illegittimo esercizio del potere, favorendo in modo indiretto la maladministration (con tutte le implicazioni facilmente comprensibili in relazione ai fenomeni di corruzione e di infiltrazione della criminalità organizzata).
Oltretutto la dequotazione dello strumento «tipico» di tutela dinanzi al giudice amministrativo, costituito dal potere di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, potrebbe favorire la paralisi dell’azione pubblica, esponendo i funzionari al giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti. Si pone quindi il problema di immaginare delle alternative che, sperimentalmente per tale periodo emergenziale e poi a regime in caso di buon esito, possano da un lato conservare tutti gli strumenti di tutela delle imprese e dall’altro rendere più fluido il processo in settori strategici per la vita del Paese, quale quello delle gare pubbliche. L’ottica preferibile deve tendere non già ad un depotenziamento della tutela di annullamento, ma ad un’accelerazione del processo che, fermi gli attuali meccanismi di standstill, consenta la pronuncia in tempi rapidi, onde rendere possibile l’esecuzione celere dei contratti di appalto.
Conseguentemente si propone la modifica dell’art. 120 c.p.a. attraverso la reintroduzione dell’immediata impugnabilità – a pena di successiva inammissibilità del ricorso – dei provvedimenti amministrativi di esclusione dalle procedure e dei provvedimenti di ammissione, nonché delle regole della gara comunque poste, ivi compresi i chiarimenti offerti dalle stazioni appaltanti (c.d. «ruling contrattuale»).
Si suggerisce altresì che nel giudizio promosso per l’annullamento degli atti della procedura o dell’aggiudicazione, ove sia proposta istanza cautelare, il
contraddittorio sia integro e non risulti esperito un ricorso incidentale, il ricorso sia definito sempre con sentenza semplificata nella sede dell’udienza camerale, fissata con termini brevissimi alla prima camera di consiglio successiva al decimo giorno dal perfezionamento dell’ultima notificazione del ricorso ed al decimo giorno dal deposito dello stesso. Nei casi in cui il giudizio non possa essere immediatamente deciso con tale rito accelerato, sarà sempre possibile per il Giudice adottare un rinvio pronunciando al contempo un provvedimento cautelare (ad es. sospensione della gara o dell’aggiudicazione) in attesa di espletare l’incombente richiesto (integrazione del contraddittorio, deposito istruttorio, ecc.).
Ove non sia proposta istanza cautelare, il giudizio sarà definito con sentenza in forma semplificata ad un’udienza fissata d’ufficio entro trenta giorni dalla scadenza del termine di costituzione delle parti. Si propone, altresì, di ridurre il lasso temporale per un’eventuale udienza di rinvio a quindici giorni. Ai fini di assicurare la certezza dell’esito delle procedure il termine per il deposito della sentenza potrebbe essere ridotto a quindici giorni, con facoltà per le parti di chiedere la pubblicazione anticipata del dispositivo entro il giorno successivo all’udienza.
I descritti meccanismi acceleratori del processo, che danno vita ad un vero e proprio rito «superaccelerato», hanno lo scopo di evitare che si giunga ad una sentenza di merito con un contratto già parzialmente o totalmente eseguito dal soggetto non avente titolo all’aggiudicazione, evitando la conseguente lievitazione degli oneri economici per la stazione appaltante (pagamento del prezzo all’esecutore e del risarcimento al ricorrente vittorioso).
Si propone per tutti i giudizi disciplinati dall’art. 120 c.p.a. l’introduzione della modalità telematica con collegamento da remoto secondo regole tecniche predisposte dal Presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Consiglio di Presidenza, il Garante per la protezione dei dati personali, il Dipartimento per la trasformazione digitale, l’Agenzia per l’Italia digitale, ed acquisite le osservazioni dell’Avvocatura generale dello Stato, delle Associazioni dei magistrati amministrativi, del Consiglio nazionale forense e delle Associazioni rappresentative degli avvocati.
Nel rito «superaccelerato» ora illustrato, lo strumento tecnologico può costituire una risposta efficace a tutti coloro che lamentano il rallentamento nell’espletamento delle procedure per i lavori, le forniture ed i servizi; tanto più che, per la formazione dei collegi, si potrà attingere a giudici residenti in regioni diverse, senza imporne lo spostamento, anche al fine di predisporre convocazioni ravvicinate.
Al fine di garantire la massima pubblicità delle udienze telematiche il ruolo delle stesse, corredato dall’indicazione della procedura (CIG), del suo valore e dell’oggetto della domanda dovrebbe essere pubblicato entro i due giorni
precedenti all’udienza di merito con apposito avviso sul sito della giustizia amministrativa, previo oscuramento di eventuali dati sensibili.
f) Riduzione degli oneri delle parti e semplificazione dell’iter processuale
Al fine di scongiurare pronunce in rito (improcedibilità) sui ricorsi introduttivi che possano rivelarsi impeditive della tutela di merito appare necessario evitare l’inutile proposizione di ricorsi per motivi aggiunti, volti ad invocare esclusivamente illegittimità derivate dagli atti già gravati con l’originario atto di impugnazione. Si propone dunque di riformare l’art. 43 c.p.a. prevedendo che i motivi aggiunti avverso gli atti consequenziali, esecutivi e confermativi siano necessari solo in caso di proposizione di motivi diversi rispetto a quelli articolati nel ricorso introduttivo. In caso di identità dei motivi, viceversa, il relativo accoglimento dovrebbe comportare la caducazione di tutti gli atti connessi a quelli impugnati, anche se menzionati in semplici memore difensive del ricorrente. Eguale regime dovrebbe vigere per gli atti interni del procedimento eventualmente non impugnati ab origine in quanto non noti (ad es. verbali di commissioni di gara o di concorso, pareri, valutazioni tecniche, ecc.).
Il regime della moltiplicazione dei contributi unificati per i motivi aggiunti dovrebbe comunque essere rivisto, determinando esso oneri impropri ed eccessivi per cittadini ed imprese che chiedono giustizia. A tale revisione dovrebbe accompagnarsi un più profondo riesame del regime attuale del contributo unificato per gli atti giudiziari, che appare davvero eccessivo e talora impeditivo della effettività della tutela giurisdizionale costituzionalmente garantita per le fasce meno abbienti della popolazione. Inconveniente, questo, che nella fase emergenziale e post-emergenziale è destinato ad acuirsi in ragione della crisi economica e di liquidità che attanaglia il Paese. Non di rado i cittadini preferiscono rinunciare a proporre ricorso piuttosto che affrontare la spesa del contributo unificato ordinario per i giudizi di primo grado, attualmente pari ad euro 650,00. La soluzione più equa potrebbe consistere in una differenziazione dell’onere fiscale secondo un criterio misto, per valore ed in subordine (ove il valore sia indeterminabile) per materia trattata in controversia.
Sul piano della semplificazione e della riduzione di oneri e adempimenti gravanti sulle parti, andrebbe definitivamente imposto l’obbligo alle PA di comunicare al Ministero della Giustizia la pec alla quale possono ricevere gli atti giudiziari, così da semplificare la notificazione degli atti introduttivi dei giudizi e garantire anche una sostanziale di parità di trattamento tra le parti processuali, posto che tale obbligo è imposto agli avvocati. In alternativa, si potrebbe generalizzare l’utilizzo delle pec indicate nell’elenco delle PA (INI-PEC). Si tratta di una prassi che già ha ottenuto l’autorevole avallo del Consiglio di Stato.
Per garantire il più ampio e completo esercizio del diritto di difesa, si potrebbe pensare di eliminare il limite dimensionale degli atti processuali di parte.
Per contemperare siffatta misura con l’esigenza che i giudici non vengano costretti a leggere un numero eccessivo di pagine – a volte sproporzionato rispetto all’importanza delle questioni trattate – si può ipotizzare, all’atto dell’iscrizione del ricorso qualora esso superi determinate soglie dimensionali, l’obbligo di allegare anche un sunto/sommario delle questioni trattate, così da facilitare ai giudici l’approccio alla trattazione della controversia. Si potrebbe in tal senso modificare l’art.13-ter delle NTA del c.p.a. e del decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22 dicembre 2016.
Da ultimo, , si rileva che finalmente con la L. n 70 del 2020, di conversione del D.L. n. 28 del 2020, è stato definitivamente eliminato l’obbligo di deposito delle copie cartacee degli atti processuali di parte, già sospeso durante la fase emergenziale. L’auspicio è che la copia cartacea d’obbligo ormai abrogata non sopravviva, presso alcuni TAR, come «copia di cortesia» sostanzialmente imposta dal soggettivo gradimento dei collegi. Tale adempimento, ormai anacronistico e vessatorio, ribalterebbe ancora una volta sui patrocinatori oneri che spettano alle Segreterie (fare le fotocopie). Il rischio di una vischiosità del vecchio sistema è peraltro concreto, considerando che in precedenza presso alcuni organi giurisdizionali si richiedeva addirittura all’avvocato – praeter legem – la reiterazione
in forma cartacea dell’intero fascicolo telematico comprensivo della documentazione prodotta, con una duplicazione di adempimenti (in forma telematica e cartacea) di difficile intelligibilità. Occorre vigilare affinché tutto questo non accada più.
g) Perfezionamento del processo amministrativo telematico
Lo sforzo di semplificazione deve poi tendere ad una compiuta maturità del processo amministrativo telematico (PAT). Occorre modificare l’attuale disciplina del PAT da molteplici punti di vista, che qui di seguito brevemente si illustrano.
Gli attuali moduli di deposito di ricorsi, atti e documenti devono essere modificati in modo da ridurre le ipotesi di «mancato deposito» dovute a errori intervenuti nella compilazione del modulo. In particolare, occorre semplificare il meccanismo delle «tendine» che impongono ai difensori la qualificazione degli atti che si depositano (i menù a tendina si sono andati complicando nel tempo, da ultimo nell’emergenza Covid-19 con l’inserimento delle istanze di decisione e di discussione da remoto e con le note d’udienza in limine).
In alternativa al meccanismo del deposito tramite il suddetto modulo da trasmettere a mezzo pec, che presenta il costante rischio di inconvenienti in emissione o in ricezione, si propone di operare tramite il sistema dell’upload diretto. Attualmente, ogni avvocato può accedere ai fascicoli telematici dei giudizi da lui patrocinati scaricando tramite download atti e documenti delle controparti, oltre ai provvedimenti del giudice. Allo stesso modo, si potrebbe consentire al difensore di accedere al fascicolo e provvedere direttamente al caricamento di atti e documenti, senza dover procedere mediante previa compilazione del modulo e successivo invio a mezzo pec. Occorre, tuttavia, prevedere che il meccanismo dell’upload dia ricevute di cosa si è depositato e quando, al fine di garantire all’avvocato la certezza del deposito. Attualmente questa viene data dalla pec di «consegna» e dalla successiva di «registrazione».
Anche con l’upload, pertanto, l’avvocato che vi ha provveduto dovrebbe ricevere una pec – inviata in automatico dal sistema come avviene per gli avvisi di fissazione delle udienze o per quelli di pagamento del contributo unificato – con l’indicazione della data e del numero di protocollo del deposito (che deve corrispondere a quello che, nel fascicolo telematico, contraddistingue il singolo atto o deposito documenti).
Si suggerisce di inserire nel modulo di deposito una dichiarazione onnicomprensiva di asseverazione di conformità di quanto depositato all’originale, ad esempio attraverso la firma digitale che, così apposta, equivalga ad asseverazione onnicomprensiva. La firma digitale, apposta per una sola volta, si intenderebbe estesa a tutti gli atti inseriti nel modulo (foliario, dichiarazione di carenza di interesse, istanze varie), con la sola eccezione degli atti che devono recare la loro autonoma firma digitale sin dall’origine in quanto soggetti a previa notificazione alle controparti (si pensi al ricorso introduttivo, ma anche all’istanza ex art. 116 co. 2 c.p.a., ecc.).
Dalla disciplina emergenziale dettata in questo periodo va confermato, in parte e su base volontaria, il ricorso alle udienze telematiche «da remoto», anche al fine di sgravare l’attività degli avvocati da una serie di costi e di tempo impiegato (ad es. per le trasferte o per i compensi ai domiciliatari). Quella che, in periodo emergenziale, è l’unica via per svolgere l’udienza, potrebbe diventare una facoltà qualora le parti concordemente lo richiedessero. In questa prospettiva, la modalità da remoto potrebbe essere quella di regola da utilizzare per le «udienze-filtro» di cui si è già detto sub lett. b).
Sul punto si segnala altresì che la sperimentazione avviata nel periodo dell’emergenza offre una straordinaria opportunità – come è stato nei fatti dimostrato – per garantire lo svolgimento dei giudizi anche con magistrati non in sede. Inoltre, come nel periodo emergenziale, potrebbe essere confermata e venire disciplinata una sorta di istanza ad hoc con la quale, come avviene adesso implicitamente attraverso il deposito delle note d’udienza, gli avvocati possano far introitare le cause in decisione attraverso una richiesta anticipata due giorni prima dell’udienza. Ne dovrebbe conseguire, in particolare, la modificazione degli
artt. 55, 56, 61, 65 e 73 c.p.a. Ugualmente andrebbe stabilita la possibilità di collegamento in remoto anche per lo svolgimento della camera di consiglio (c.d. «interna» o «deliberante») nella quale i giudici decidono (art. 75 c.p.a).
Parte II
Proposte per l’efficientamento del ricorso straordinario al Capo dello Stato
Il ricorso straordinario al Capo dello Stato merita di essere conservato quale rimedio alternativo alla giurisdizione (ADR), utile come tale a deflazionare il contenzioso giurisdizionale. Occorre però rivederne la disciplina per semplificarla, ampliare il contraddittorio (consentendo il deposito di memorie) ed eliminare i dubbi interpretativi che la vecchia disciplina del 1971 ha generato (il riferimento è al Capo III, artt. 8 – 15, del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199).
Queste le principali proposte che si offrono alla discussione.
Rimane insoluta, anzitutto, la questione se i limiti dimensionali dei ricorsi valgano o meno anche per il ricorso straordinario. Trattandosi di procedimento amministrativo e non di processo dovrebbe darsi risposta negativa, ma nella prassi i patrocinatori tendono comunque a rispettarli per eccesso di cautela. Ciò determina una compressione delle difese (ricorsi) nell’ambito di una procedura in cui non è dato il doppio grado di giudizio e, allo stato della normativa, non è neppure codificato il deposito di memorie e repliche. Ciò determina evidenti criticità. Il problema andrebbe risolto alla radice con l’abrogazione dei limiti dimensionali.
Occorre ridurre il contributo unificato attualmente fissato in € 650,00 per tutti i ricorsi straordinari, se del caso prevedendo uno scaglionamento per valore e subordinatamente per materia, così come suggerito anche per l’ambito processuale nella precedente lett. f).
Occorre prevedere esplicitamente la notificazione via pec del ricorso straordinario, del ricorso incidentale e dell’atto di opposizione.
La fase di introduzione del giudizio dinanzi al TAR a seguito dell’opposizione del controinteressato dovrebbe essere uniformata alla disciplina del processo amministrativo. Dovrebbe cioè essere introdotta la sequenza notificazione-deposito di un unico atto in luogo dell’attuale scomposizione che vede l’atto di costituzione in giudizio (depositato al TAR) seguito poi dall’avviso dell’avvenuta costituzione (notificato alle controparti).
Occorre poi recepire in norma la giurisprudenza costituzionale (Corte cost., 29 luglio 1982 n. 148) sulla posizione dell’Ente pubblico autore dell’atto impugnato (diverso dallo Stato), da equipararsi in tutto e per tutto al
controinteressato. Tale Ente deve poter dispiegare ricorso incidentale ove intenda impugnare atti connessi alla cui eliminazione abbia interesse.
Al fine di assicurare una rapida tutela cautelare occorre recepire in norma la prassi invalsa presso il Consiglio di Stato di ammettere il deposito diretto di copia conforme del fascicolo contenente il ricorso straordinario ed i relativi allegati, con possibile adozione di un provvedimento cautelare interinale da parte della Sezione consultiva fino al ricevimento della relazione istruttoria dal Ministero competente. Una volta ricevuta e delibata la relazione la Sezione potrebbe rivedere il proprio pronunciamento cautelare nella prima adunanza utile.
Anche al fine di dare certezze ai cittadini (specie qualora decidano di proporre il ricorso straordinario senza ausilio del difensore) occorre prevedere esplicitamente che in caso di competenza per materia «mista» tra più Ministeri, o comunque incerta, la Presidenza del Consiglio dei Ministri possa delegare l‘istruttoria ad un Ministero da essa individuato, oltre che curare l’istruttoria in proprio.
Al fine di intensificare il contraddittorio, occorre ammettere il deposito di memorie ed eventualmente di repliche ad opera delle parti prima che il Consiglio di Stato pronunci il parere; questa possibilità è ora consentita solo in via di prassi.
L’informatizzazione complessiva della procedura potrebbe semplificarne e renderne trasparente lo svolgimento, garantendo maggiormente gli obiettivi della celerità e dell’effettivo contraddittorio (con accesso diretto telematico delle parti agli atti e documenti che confluiscono nel procedimento).
Roma, 30 giugno 2020
Stefano Tarullo
Professore di Diritto amministrativo
Università degli studi della Campania «Luigi Vanvitelli»
Solveig Cogliani
Magistrato del Consiglio di Stato
Isabella Loiodice
Professore di Diritto pubblico comparato
Università degli studi di Bari «Aldo Moro»
Proposta ben strutturata ed articolata. Particolarmente rilevante ed innovativa la proposta di introduzione della mediazione anche nelle contese verso la PA.
Andrebbe completata, a mio modestissimo parere, da un’alta proposta: quella dell’immediata perseguibilità dei debiti delle PA, causa di difficoltà e a volta di fallimento delle imprese.
Ai proponenti Tarullo, Cogliani e Loiodice il mio plauso più vivo.