La lingua è prima di tutto parlata, anzi il parlato gode di priorità agli occhi di molti linguisti. La lingua italiana corrisponde in maniera abbastanza fedele alla scrittura: questo ci è sempre sembrato uno dei suoi pregi, che condivide con lo spagnolo. Tale corrispondenza non è assoluta. In qualche caso occorrono più grafemi per un medesimo fonema: si pensi a ch (chiesa) rispetto a c (cane) per l’occlusiva velare sorda. Tuttavia l’italiano, da questo punto di vista, è più funzionale di altre lingue, come il francese o l’inglese, in cui la grafia è governata da un’eredità etimologica che l’allontana dalla pronuncia. Il rapporto tra scrittura e parola, per tutte le lingue, è comunque fissato da una tradizione consolidata nei secoli, che non può essere infranta a piacere. Segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi, per quanto dettati da buone intenzioni, servono soprattutto a creare problemi, confusione, oscurità. Inoltre le rivoluzioni ortografiche inventate da singoli riformatori, nell’italiano, hanno avuto sempre poca fortuna: così è accaduto nel Cinquecento con la riforma di Trissino, assolutamente priva di conseguenze pratiche. Continua a leggere